Forum Comunista Internazionalista

Michelangelo Pappalardi, 1895-1940

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Bèla Kun
view post Posted on 16/2/2010, 01:01




Michelangelo Pappalardi

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Autore: Dino Erba
Editore: Colibrì, per conto del Centro d’Iniziativa Luca Rossi, marzo 2005
Pagine: 104
Prezzo: 10 euro


Ti dico chiaramente che la scissione la eviteremo anche con un ingoiamento di rospi”: così si rivolgeva Bordiga a Michelangelo Pappalardi nell’ottobre 1925. E giusto un anno dopo, il fondatore del PCd'I gli ribadiva: “non dobbiamo farci sbattere fuori”. Era la fase in cui la cosiddetta “bolscevizzazione” dei partiti comunisti, ovvero il loro allineamento con le direttive imposte da Stalin, era in pieno svolgimento, e la sinistra del Partito Comunista d’Italia (PCd'I), estromessa dalla direzione ma ancora radicata nella base, subiva i diktat e gli attacchi portati dal “centro”. A quell’epoca una parte minoritaria di militanti della sinistra aveva già assunto una posizione di rottura organizzativa: Pappalardi era uno di questi militanti. Studente a Napoli, proveniente da una famiglia agiata di Campobasso, Pappalardi si era avvicinato alle posizioni della sinistra aderendo alla frazione comunista astensionista; nominato nell’aprile 1920 segretario della Camera del Lavoro di Castellamare di Stabia, nel 1921 venne arrestato in seguito agli scontri tra operai stabiesi e fascisti. Dopo la scarcerazione, nel 1922, cominciarono i primi contrasti col Partito; inviato in Germania a rappresentare i comunisti italiani presso la KPD, nel 1923 partecipò al fallimentare “ottobre tedesco” entrando in contatto con la sinistra di Korsch; poi passò in Francia nel 1923, e rassegnò le dimissioni dal PCd'I.
Questa premessa è necessaria per inquadrare il militante che, a partire dal 1927 (un anno dopo il Congresso di Lione del PCd'I dove la sinistra viene sconfitta) è a capo del gruppo minoritario della sinistra che agisce — e sostiene si debba agire — già al di fuori del Partito. Le vicende legate all’attività del “gruppo Pappalardi” costituiscono il tema del libro di Dino Erba, che ne analizza posizioni, limiti, percorsi, evoluzioni fino alla sua estinzione negli anni ‘30. Un percorso, quello del gruppo, sinora mai studiato e preso in considerazione singolarmente (ma citato approfonditamente nei testi sulla Frazione della CCI e sulla guerra civile spagnola di Fausto Bucci), e parallelo a quello più noto della Frazione di Sinistra che si costituisce nel 1928 a Pantin.
La prima uscita del gruppo, che si richiama alle opposizioni di sinistra presenti nel Partito bolscevico (Centralisti democratici, Gruppo Operaio) sostenendo l’impossibilità di raddrizzare l’IC, avviene nel luglio 1927 a Parigi con la fondazione dei Gruppi d’Avanguardia Comunista (GAC) e l’uscita del giornale “Le Réveil Comuniste”; i GAC agiscono come “frazione aperta” per la maturazione politica del proletariato, condizione per l’esplosione rivoluzionaria ritenuta prossima in quella fase. Il gruppo si richiama a Bordiga, parallelamente vengono riprese alcune tesi della Luxemburg per criticare le opposizioni tedesche, attaccando l’involuzione russa concretizzatasi con la NEP. Ma le intuizioni dell’analisi condotta dal gruppo perdono di efficacia nel momento in cui prevale una complessiva valutazione “soggettivista” degli eventi in corso.
Con posizioni di questo tipo i GAC, trovandosi in contiguità con la sinistra radicale tedesca e olandese (KAPD-KAI), lanciano l’appello ad abbandonare l’internazionale di Mosca, ormai ritenuta irrecuperabile, perdendo per questo dei “pezzi”, ovvero militanti che decidono di passare alla Frazione di Sinistra.
Rinominatisi in “Gruppi Operai Comunisti” (GOC) nel 1929, con l’organo “L’Ouvrier Comuniste” (che nel primo numero pubblica la “risposta a Lenin” di Görter, parteggiando apertamente per quest’ultimo), i pappalardiani separano definitivamente il proprio percorso politico dalla Frazione di Sinistra ma anche dal marxismo rivoluzionario, iniziando una deriva che li porta a giustificare il ricorso alla lotta armata permanente, a delimitare rigidamente la propria composizione sociale ai “lavoratori manuali”, ad avvicinarsi al gruppo “Lotta Anarchica”.
L’autore del libro guida il lettore a districarsi nel percorso, tutt’altro che lineare, seguito dai militanti del gruppo che si trovarono ad effettuare scelte controcorrente (fuori dal Partito mentre gli altri compagni della sinistra continuavano la battaglia interna), e che arrivarono anche ad intuizioni felici, tutt’altro che facili e scontate, come il cogliere tempestivamente la degenerazione del Partito bolscevico appoggiandone le opposizioni di sinistra.
Uno dei meriti dello scritto è quello di farci conoscere Pappalardi in tutta la sua dimensione, umana oltre che politica, il che può generare un’istintiva simpatia verso di lui ed il suo ostinato procedere “contro tutto”, senza comunque mai giungere ad avallarne errori, settarismi ed involuzioni; nonostante l’indubbio merito di saper cogliere tempestivamente l’involuzione controrivoluzionaria del Partito russo e dell’IC, con le scelte successive Pappalardi e il suo gruppo si collocano decisamente al di fuori del solco politico marxista; palesi sono i limiti che portano a far sì che le intuizioni politiche non si traducano in rafforzamento organizzativo e l’esperienza si esaurisca.
La descrizione dei fatti si ferma al 1931, quando si sciolgono i GOC ed i suoi militanti si disperdono. Alcuni di essi approdano al movimento anarchico, come Ludovico Rossi, poi combattente nella guerra civile spagnola. C’è un ultimo, significativo atto politico di Pappalardi (che però non compare nel testo), legato proprio agli avvenimenti spagnoli. Pappalardi, infatti, dichiara di concordare con la “minoranza” della Frazione (non a caso capeggiata dai fratelli Corradi, ex pappalardiani) i cui militanti combattono contro i franchisti nella “colonna Lenin” del POUM; non a caso Gigi Danielis, militante della “maggioranza” contraria all’intervento, su “Prometeo” argomenta il suo attacco alla “minoranza” insistendo sull’incontro tra il “confusionismo massimalista” e gli ex pappalardiani.
Pappalardi, dopo anni di stenti e malattie, nel 1939 emigra a Buenos Aires, dove muore dopo pochi mesi.
Il testo è corredato da un’appendice con due articoli scritti sui giornali dei gruppi di Pappalardi: “Che fare?” (1927) e “Abbasso le assicurazioni sociali! (1930).
Infine un altro dei meriti di questo libro è quello, non secondario, di aver ripreso il filone di ricerca già portato avanti dal compagno Arturo Peregalli, lo storico dell’ “altra resistenza” prematuramente scomparso cinque anni fa.


Alessandro Pellegatta

Edited by N-Z - 16/6/2011, 00:35
 
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