Forum Comunista Internazionalista

Lorenzo Parodi. Sindacalista e Comunista Rivoluzionario

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mm81
view post Posted on 31/10/2011, 12:12 by: mm81




Come mai è sparito il messaggio precedente a quest'ultimo?
Qualcuno si è accorto che invece di essere una commemoriazione era una critica a Parodi? Non ne condivido l'impostazione in modo assoluto, però lo ripubblico. Meglio leggerli gli articoli, prima ...

Dino Erba



La vita fortunata di Lorenzo Parodi



Con questo titolo, «Lotta Comunista» (n. 491-492, luglio-agosto 2001)ha ricordato Lorenzo Parodi,«cofondatore del partito».Titolo emblematico!


Il 31 luglio 2011 è morto Lorenzo Parodi, era nato a Genova il 24 maggio 1926. La sua lunga e «fortunata» vita coincide con un periodo felice per una parte della classe operaia italiana,quella del «triangolo industriale», in cui egli finì per riflettere il proprio orientamento politico.


Nell’estate del 1942, a 16 anni, Lorenzo entrò all’Ansaldo Meccanica di Sampierdarena (Genova),uno dei colossi della siderurgia di Stato italiana (si costruivano turbine per le centrali idro e termoelettriche e poi i principali apparati per l’industria nucleare italiana). Nella primavera del 1944, si dette alla «macchia», per sfuggire alle retate nazifasciste e al lavoro coatto in Germania. E partecipò alla «Resistenza». Come molti suoi coetanei operai, Lorenzo visse una stagione tragica, ma al tempo stesso eroica. Come molti giovani operai, che lottavano,armi alla mano, per un mondo migliore, si oppose ai compromessi dei nazional-comunisti di Togliatti. Ma fu uno dei pochi, che ne seppe trarre le conseguenze: la sua militanza avvenne al di fuori del CLN, avvenne nelle file del movimento anarchico e libertario[1].


Con questo orientamento, affrontò i problemi del dopoguerra, che incombevano sulla classe operaia, a partire dalla ricostruzione; si incontrò con altri giovani operai anarchici, che cercavano di trovare una risposta politica alle pulsioni rivoluzionarie del momento. Per farlo, dovevano uscire dalle strette in cui il movimento anarchico si dibatteva, in seguito al tragico fallimento della guerra di Spagna, e che aveva esasperato il persistente dilemma tra scelte individualiste e scelte «organizzativiste». Tra coloro che spingevano verso una scelta «organizzativista», c’era Arrigo Cervetto, cui Lorenzo legò le proprie sorti.


Via via,entrambi cercarono una soluzione nel marxismo e si confrontarono con chi, in Italia, costituiva un punto di riferimento marxista, ovvero gli internazionalisti della Sinistra Comunista.


Il periodo era tra i più complessi, poneva all’ordine del giorno questioni fino allora inedite, per l’analisi marxista. C’erano la «guerra fredda» e il Piano Marshall, ovvero la ricostruzione post bellica dell’Occidente. Prevaleva un clima in cui sembrava imminente l’aggressione all’Europa da parte della Russia Sovietica. Questa ipotesi coinvolse alcune tendenze comuniste rivoluzionarie, come la Gauche Communiste de France[2],«Socialisme ou Barbarie», soprattutto per opera di Cornelius Castoriadis[3]e, seppur marginalmente, la tendenza rappresentata da Onorato Damen in seno al Partito Comunista Internazionalista («Battaglia Comunista»). Le loro elaborazioni avevano come principale riferimento la ferrea dittatura instaurata dal regime sovietico, dalla quale facevano discendere prima l’ipotesi di un imminente conflitto tra Usa e Urss, poi la prospettiva diun’evoluzione del modo di produzione capitalistico nel senso collettivista,inaugurato dall’Unione Sovietica «stalinizzata». Questa concezione aveva acquistato notorietà grazie al libro di James Burnham "La rivoluzione dei tecnici", pubblicato negli Usa nel 1941 e in Italia nel 1946, ma era già serpeggiante in alcuni ambienti intellettuali e politici[4].Alla fine degli anni Cinquanta, anche Arrigo Cervetto[5],approdò a una prospettiva analoga, seppur centrando l’analisi su fattori economici(e non sovrastrutturali, come Castoriadis), facendo così proprie alcune tesi allora avanzate da Damen[6].E, in seguito, ne fece un punto fondante dell’orientamento teorico del gruppo Lotta Comunista, caratterizzato dalla sopravalutazione del capitalismo sovietico. I cui limiti furono, invece, ben evidenziati, fin dall’origine, da Amadeo Bordiga e dal Partito Comunista Internazionalista («il programma comunista»),ed ebbero un’eclatante conferma a posteriori, con il «crollo del muro» (1989)[7].


Sostanzialmente, Cervetto si lasciò abbagliare dalle elucubrazioni degli intellettuali francesi, che enfatizzavano le apparenze «stataliste», allora prevalenti in Unione Sovietica, che erano emergenti in Europa, con le politiche keynesiane di ricostruzione, e che si diffondevano nei Paesi di nuova industrializzazione (in primis Cina e India).Ed è questo il nodo centrale su cui sviluppare una valutazione dell’esperienza politica di Lorenzo Parodi.


Un’immagine statica della realtà sociale


Il background teorico di Parodi, cui abbiamo accennato, si sposò con l’arena delsuo intervento politico e sindacale: Genova e l’Ansaldo Meccanica, dove egli lavorò per quasi 40 anni, fino a quando andò in pensione, nel 1981. Genova era il centro portante dell’industria di Stato, con la siderurgia, la cantieristica, la meccanica pesante, l’impiantistica e l’elettronica civile e militare, in cui Cervetto e Parodi individuavano il modello di sviluppo del capitalismo italiano[8].Modello che divenne il criterio chiave per analizzare e definire la struttura economica e sociale italiana, delineando uno scenario apparentemente ricco di sfumature sociologiche, nonché politologiche, ma sostanzialmente assai rigido.


A questo schema interpretativo, venivano infatti ricondotte tutte le diverse «variabili», a partire dalla crisi che, all’inizio degli anni Settanta, colpì l’economia mondiale, le cui conseguenze, in l’Italia, furono definite in modo assai generico: prima «crisi di squilibrio» (tra la struttura economica in evoluzione e la sovrastruttura politica superata) e poi «crisi di ristrutturazione». Confondendo l’effetto con la causa.


Tale schema interpretativo ha dettato una prassi politica e sindacale imperniata su unm ovimento operaio, in cui prevale una figura operaia che è, e che resta, puro «capitale variabile»; sostenendo così una concezione che non solo affonda le sue radici in un’epoca ormai trascorsa, ma che priva l’operaio di ogni autonomia e progettualità politica. Dall’orizzonte di Parodi, come di Cervetto,sono assenti i grandi movimenti sociali, che attraversavano e scuotevano la società italiana, rivelando una miopia che, divenuta virtù, ne ha via via limitato la crescita politica, a vantaggio di una propaganda scolastica. Loro referente è la vecchia aristocrazia operaia, cresciuta all’ombra di un’industria di Stato, che stava facendo il suo tempo[9],e il cui declino avrebbe contribuito a spingere il gruppo in una logica squisitamente autoreferenziale, cadendo nella coazione a ripetere le esperienze di un remoto passato (la Russia di Lenin) e, implicitamente, nell’accettazione consolatoria dell’esistente.


Manca la volontà e la capacità di proporre il cambiamento, ovvero un processo rivoluzionario che esca dalle secche dell’economicismo, e di cui il proletariato sial’artefice. E non un passivo strumento di soluzioni imposte dalle forze produttive e, quindi, dalle classi dominanti. Sul piano analitico, ne derivano sbandate imbarazzanti, che divennero palesi quando, sull’onda dell’«autunno caldo», nei primi anni Settanta, Parodi e Cervetto parlarono di un «1905 economico» (con riferimento alla prima rivoluzione russa, quella del 1905), ritenendo che la convergenza tra movimento sindacale tradeunionista e la «linea riformistad el grande capitale» avrebbe potuto scalzare o indebolire «l’influenza interclassista dei partiti parlamentari, con potenziale vantaggio per il partito leninista». Ipotesi fantasiosa. Sarebbe stata valida nella fase ottocentesca di sviluppo delle forze produttive. Ma era del tutto estemporanea negli anni Settanta del Novecento, alle soglie di una crisi che si stari velando sistemica.


Prigioniero di queste concezioni, Lorenzo Parodi non è andato oltre a un’onesta attività sindacale, condita con qualche sprazzo di radicalismo, senza mai uscire da una posizione subalterna (ancorché «critica») ai vertici confederali. Con conseguenze spesso deleterie.


Ci ha lasciato numerosi scritti: le vivaci Cronache operaie, corrispondenze operaie degli anni Cinquanta, cui fecero seguito analisi sul sindacato e, dagli anni Ottanta, impegnativi studi sullo sviluppo del capitalismo italiano e su altri aspetti della vita economica, che ci offrono grandi affreschi, assai dettagliati, che tuttavia non scorgono ciò che ribolle sotto la superficie, ovvero l’insorgenza proletaria.


Fortunata,fu la vita di Lorenzo Parodi. Fortunata perchè coincise con una fase di impetuoso sviluppo del capitale, con favorevoli ricadute sul proletariato – ma che resta unica ed eccezionale –, e che, certo, non ha visto uno sviluppo altrettanto impetuoso della lotta di classe, almeno in Occidente. E questa situazione ambigua si riflette nei limiti e nelle contraddizioni dell’esperienza politica e intellettuale di Parodi, cui incombe la responsabilità di aver contribuito alla creazione di un mostro «leninista».






[1] Anna E. Marsilii,Il movimento anarchico a Genova (1943-1950), Annexia Edizioni, Genova, s. d. (2004), pp. 42-43.
[2] La Gauche Communiste de France sorse i verso la fine della Seconda guerra mondiale per iniziativa di alcuni militanti vicini alla Sinistra comunista italiana, tra cui Marc Chirik.Strinse contatti con il Partito Comunista Internazionalista, fondato in Italia nel 1943. Tuttavia, fin dai primi contatti, sorsero divergenze, che in seguitosi si acuirono, soprattutto riguardo all’evoluzione dei rapporti interimperialistici, in quanto Chirik riteneva imminente lo scoppio della Terza guerra mondiale, con la conseguente invasione sovietica dell’Europa. Con questa previsione, nel 1952, la GCF si sciolse.
[3]Cfr. Cornelius Castoriadis, La società burocratica, 1. I rapporti di produzione in Russia,SugarCo, Milano, l978 e La società burocratica, 2. La rivoluzione contro la burocrazia, SugarCo, Milano, l979. Per la critica bordighiana alle tesi sul capitalismo di Stato di «Socialisme ou Barbarie» e di Castoriadis,cfr. La batracomiomachia, «il programma comunista», a. II, n.10, 21 maggio - 4 giugnio 1953; Gracidamento della prassi, Ibidem, a.II, n. 11, 12-26 giugno 1953, Danza di fantocci: dalla Coscienza alla Cultura, Ibidem, a. II, n. 12, 25 giugno -8 luglio 1953. I tre articoli,presentati nella rubrica «Il filo del tempo», sono raccolti oggi in Partito Comunista Internazionale, Classe,Partito, Stato nella teoria marxista, Ed. il programma comunista, Milano, 1972.
[4]Cfr. Arturo Peregalli e Riccardo Tacchinardi, L’URSS e i teorici del capitalismo di stato. Un dibattito dimenticato e rimosso 1932-1955,Pantarei, Milano, 201, Cap. V, La burocrazia: una nuova classe [Nella prima edizione – Lacaita, Manduria, 1990 – il titolo finiva con un punto interrogativo, che è stato tolto dai curatori di Pantarei, longa manus di Lotta Comunista].
[5] Cfr. Arrigo Cervetto, Il ciclo politico del capitalismo di Stato, Edizioni Lotta Comunista, Milano, 1989. Cervetto considera la tendenza alla formazione del capitalismo di Stato intrinseca allo sviluppo del modo di produzione capitalistico e lo «stalinismo» come movimento politico fautore di quella specifica forma giuridica di proprietà.
[6] Cfr. Giorgio Amico - Yurii Colombo, Uncomunista senza rivoluzione. Arrigo Cervetto: dall’anarchismo a Lotta Comunista. Appunti per una biografia politica, In appendice: FrancoAstengo: Gli ultimi decenni della Savona operaia. Massari Editore, Bolsena, 2005, pp. 68-69.
[7] Cfr. Dino Erba,Il mito della potenza sovietica. Un grande inganno ai danni dei proletari dell’Est e dell’Ovest, All’Insegna del Gatto Rosso, Milano, 2009.
[8] Arrigo Cervetto,Genova, punta avanzata della strategia rivoluzionaria, «Lotta Comunista», ottobre-novembre 1966.
[9] Il declino dell’industria di Stato a Genova si trascinava dal dopo guerra. All’inizio degli anni Settanta, la composizione della classe operaia vedeva la netta prevalenza di operai specializzati equalificati (il 65,7%), rispetto al 55,2% di Milano e al 43,6% di Torino. Cfr. Claudio [Saccani], La decadenza industriale di Genova e i suoi riflessi sull’occupazione, «Lotte Operaie», n. 44, dicembre 1971, p. 3.
 
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