Forum Comunista Internazionalista

Paul Mattick

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cucchiaroni82
view post Posted on 12/7/2010, 08:24




Nace in Pomerania nel 1904, entra nelle file della gioventù spartachista (la Freie Sozialistiche Jugend). Nel 1918, inizia a imparare il lavoro dell'operaio specializzato alla Siemens e viene anche eletto delegato del consiglio di quella fabbrica, durante la rivoluzione tedesca.
Più volte arrestato, radicalizza la sua posizione schierandosi con l'estrema sinistra del movimento comunista e aderendo nel 1920 alla organizzazione giovanile Rote Jugend legata al KAPD.
Dopo il fallimento della rivoluzione del 1923, emigra negli Stati Uniti, dove conduce in modo sistematico un lavoro sistematico sulle opere di Marx e Henryk Grossmann, la cui opera sull'accumulazione del capitale avrà una forte influenza su di lui. In seguito Mattick si focalizza sulla teoria di Marx sullo sviluppo capitalistico e sulle sue contraddizioni interne che inevitabilmente conducono alla crisi.
Alla fine degli anni Venti, Mattick si sposta a Chicago dove per un periodo sarà organizer degli IWW. Durante gli anni Trenta crea un piccolo gruppo che si schiera sulle posizioni della sinistra comunista tedesco-olandese e inizia a pubblicare la rivista International Council Correspondence (dal 1938 Living Marxism, e infine dal 1942 New Essays).
Attraverso Karl Korsch e Henryk Grossman, Mattick lavora anche per l'Istituto di Horkheimer e nel 1936 scrive per questo uno studio sociologico sul movimento dei disoccupati negli Stati Uniti che verrà però pubblicato solo nel 1969, dalla casa editrice della SDS Neue Kritik.
Dopo la guerra e l'ondata di maccartismo Mattick si ritira in campagna dove inizia i suoi studi sul keynesismo. Negli anni Sessanta pubblica «Marx e Keynes. I limiti dell'economia mista» (1969) e conduce una vivace polemica con Herbert Marcuse il quale affermava che nei paesi avanzati il «proletariato» era diventato un concetto mitologico. Successivamente Marcuse sosterrà che quella di Mattick era stata l'unica critica consistente a «L'uomo a una dimensione». Negli anni Settanta tiene molte letture in varie università del mondo confrontandosi con altri teorici di grande spessore come Maximilian Rubel, Ernest Mandel, Joan Robinson.
Nel 1978 pubblica un'ampia collezione di articoli che uscirà con il titolo di «Anti-Bolshevik Communism».
Muore nel febbraio del 1981.

Un ricordo dovuto a Paul Mattick

Quando Paul Mattick morì il 7 febbraio del 1981 nella sua casa di campagna a Cambridge nel Massachussets non era ancora crollato il muro di Berlino. Aveva 76 anni eppure avrebbe potuto vivere forse uno dei momenti più importanti della sua vita. Sarebbe stato molto interessante conoscere le sue opinioni in merito ad un evento così spettacolare ma così inaspettato dalla maggior parte degli esponenti della sinistra. Paul Mattick è sempre stato un eretico tra gli pseudo eretici dell’ultrasinistra, ed è stato etichettato come uno degli ultimi esponenti della cosiddetta corrente ‘consigliare’ vista la sua partecipazione in giovane età al movimento dei Consigli in Germania all’epoca della nascita del KAPD (Partito comunista operaio tedesco) sorto dalla scissione della corrente di sinistra del KPD (partito comunista tedesco) in occasione del Congresso di Heidelberg del 1919 cui aderisce immediatamente. Fino al 1926 cercherà di sopravvivere tra un lavoro e l’altro, continuando ad essere attivo nei movimenti più radicali della sinistra tedesca. In America Mattick si avvicina dapprima alla comunità tedesca se non altro per il problema linguistico che assilla tutti gli immigrati, ma alla fine degli anni 20 entra in rapporto con gli Industrial Workers of the World , l’unica organizzazione che si avvicina alle sue posizioni radicali, all’interno dei quali cerca di introdurre momenti di riflessione come nel testo "Crisi mondiale e movimento operaio" inserito nel "Programma degli IWW" a Chicago nel 1933. Ma Paul Mattick, pur continuando a mantenere dei rapporti con i radicali tedeschi in America e con i comunisti dei consigli olandesi che pubblicavano Ratekorrespondenze, si rende conto di vivere nel paese dove lo sviluppo del modo di produzione capitalistico è estremamente avanzato e di essere immerso in un laboratorio che permette di studiare più precisamente le dinamiche stesse del capitalismo anche grazie alla ricchezza di dati empirici. La crisi del 1929 e le sue conseguenze spingeranno ulteriormente Paul Mattick verso l’approfondimento dell’analisi sulla natura della crisi del sistema capitalistico anche grazie alla pubblicazione nello stesso anno del testo di H.Grossmann " Das Akkumulations- und Zusammenbruchsgesetz des Kapitalistischen Systems" (La legge dell’accumulazione e del crollo del sistema capitalista"). La teoria del crollo ‘automatico’ proposta da Grossmann si fonda sulle critiche operate dall’autore del modello di riproduzione del sistema capitalista che Otto Bauer aveva introdotto nel dibattito della sinistra in Germania. Infatti, Grossmann, utilizzando la stessa metodologia numerica proposta da Bauer, cercò di dimostrare che il modo di produzione capitalistico non è in grado di riprodursi indefinitamente ma al contrario esso contiene in sé gli elementi che lo portano all’inevitabile declino. Basandosi sul modello marxiano della crisi capitalista espresso nel Capitale, in special modo nel terzo volume, Grossmann va ad ispezionare il cuore del processo di accumulazione capitalista ed utilizzando la formula generale della produzione arguisce che l’incremento continuo della composizione organica provocherà, sul lungo periodo, un lento declino del saggio medio del profitto che porterà all’inevitabile crollo del sistema capitalista. Infatti: " Secondo Marx, la caduta del saggio del profitto esprime il rapporto decrescente tra il plusvalore ed il capitale complessivo anticipato, indipendentemente dal numero di capitali in cui si scinde, o dal fatto che nella produzione si ipotizzi l’esistenza di soltanto due sezioni" Questa tesi otterrà un certo successo negli ambienti della sinistra consiliare tedesca ed olandese anche se non mancheranno delle critiche, ed andrà ad intaccare il modello proposto da Rosa Luxemburg, considerato non coerente con il modello marxiano in quanto la natura della crisi capitalistica "non risiedeva nella produzione del profitto bensì nella realizzazione del mercato". Infatti per la Luxemburg la realizzazione del plusvalore doveva avvenire al di fuori del mercato capitalistico, sul mercato allorché si realizza il profitto dalla vendita delle merci. "Grossmann ha avuto il merito di ricondurre i dibattiti sull’accumulazione nell’ambito dei rapporti di produzione capitalistici e quindi di ricondurli alla trattazione marxiana della produzione del valore e del plusvalore" . Purtroppo a parte Paul Mattick nessuno presterà attenzione, successivamente, al lavoro di Grossmann e l’analisi sulla natura delle crisi capitalistiche verrà concentrata nell’ambito della realizzazione del plusvalore, nella circolazione. Le polemiche tra Lenin e la Luxemburg, cui si inserisce in seguito Bucharin, non consentiranno un approfondimento dello schema di Grossmann, sino agli ultimi vent’anni.

Quando Matttick nella sua introduzione al volumetto di Grossmann afferma che:

"L’aumento della produttività e la crescente composizione organica, la caduta tendenziale del saggio del profitto e l’accumulazione, secondo Marx, sono soltanto differenti aspetti dello stesso processo e, dal punto di vista teorico, indipendenti dalle condizioni di scambio delle due grandi sezioni della produzione che soltanto se concepite come un’unità ci danno il concetto di capitale complessivo", tende a sfatare un altro mito creatosi in seguito, cioè che la sola caduta tendenziale fosse l’elemento portante della teoria marxiana mentre essa è solo uno degli aspetti generali che caratterizzano il processo di accumulazione. Infatti contro coloro che criticavano il modello di Grossmann giudicandolo schematico, economicista, contrapponendovi il ruolo centrale della lotta di classe nel provocare la crisi ed il crollo, Mattick replica citando lo stesso Grossmann: :"Nessun sistema economico, per quanto debole esso sia, crolla ‘automaticamente’; esso comunque deve venire abbattuto".

Occorre sottolineare però che le teorie delle crisi del capitalismo sono esplicitate prevalentemente nel III volume del Capitale che Marx non era riuscito a terminare definitivamente per darlo alle stampe, infatti alla sua morte fu Engels, anche per le pressioni dei leaders socialdemocratici della II Internazionale, che si occupò di redigere l’opera con interventi piuttosto diffusi. Con la recente pubblicazione a cura del MEGA Institute delle opere complete di Marx è ora disponibile il manoscritto originale del III volume e molti studiosi hanno messo in evidenza gli interventi piuttosto esagerati di Engels che addirittura mostrano una teoria definita delle crisi mentre dai manoscritti risulta ancora un aspetto che Marx lascia abbastanza aperto. E’ famoso il passo nel quale si esplicita la tesi dell’ "immiserimento crescente" divenuto, insieme alla sovrapproduzione ed alla caduta tendenziale del saggio del profitto uno degli slogan preferiti del militantismo marxista del secolo scorso.

Negli anni trenta Mattick inizia ad osservare le dinamiche conseguenti all’introduzione del New Deal da parte di Roosvelt grazie al quale le politiche di intervento dello Stato appaiono ai più sprovveduti come risolutorie sia dei contrasti sociali dovuti al crollo economico, grazie ai sussidi statali, sia dei fallimenti delle imprese, grazie alle politiche del credito garantite dallo Stato che nel frattempo provvede ad una generale ristrutturazione del sistema bancario. Nel frattempo lo Stato si inserisce nel sistema economico con opere pubbliche e con la rilevazione delle imprese fallite. E’ in questo clima che vede le pubblicazioni nel 1934 la rivista "International Council Correspondence" che non contiene solo articoli di natura "politica" in cui si mostra la vicinanza al movimento dei Consigli, ma anche interventi sulla natura del capitalismo. In seguito nel 1938 la rivista assumerà il titolo di "Living Marxism" fino agli inizi della II guerra mondiale quando uscirà , nel 1942, con il titolo meno compromettente di "New Essays" che cesserà le pubblicazioni nel 1943.

Con la fine della guerra vengono applicate nei paesi avanzati le politiche keynesiane già avviate nel periodo tra le due guerre e Paul Mattick inizia a sistemare una serie di articoli scritti a partire dagli anni quaranta, nel frattempo ha abbandonato New York nei primi anni cinquanta per ritirarsi nella sua casa del Vermont (che si era costruito con le sue mani come mi ha riferito Paul Mattick J. in un incontro a Milano) ma continua ad avere contatti e rapporti con le tendenze più radicali che vanno contro corrente rispetto alla sinistra ufficiale e l’ultrasinsitra classica. Dai gruppi più o meno piccoli come l’OCR e l’RKD, ex trozkisti e bordighisti francesi e tedeschi, che pubblicavano la rivista "Communisme", avvicinatisi al movimento consiliare, all’ ‘Union Communiste’ di Chazè che abbandonerà in seguito il mito leninista, ai consiliari olandesi di Canne Mejer ecc.. Negli anni 60 i contati con M. Rubel garantiranno la pubblicazione di alcuni suoi lavori in francese nei "Chahiers de Marxologie" ed in italiano sulla rivista internazionale di Lelio Basso. Nel 1969 uscirà il "Marx e Keynes, i limiti dell’economia mista", considerato il testo più importante scritto da Pul Mattick, nel quale riesce a smontare pezzo per pezzo tutte le mitologie della "rivoluzione keynesiana" che si presentava come unica forma di superamento delle contraddizioni insite nel sistema capitalistico liberista in grado di risolvere ogni tipo di crisi nel processo di accumulazione. La contrapposizione della teoria classica di Marx non veniva proposta da Mattick in forma dogmatica ma come strumento che mostrava l’inevitabile declino futuro dell’intervento statale a causa dell’incremento delle spese improduttive o di interventi che potevano solo momentaneamente contrastare fasi di declino dell’accumulazione.

L’intervento dello stato, secondo Mattick, non può invertire la dinamica della tendenza alla caduta del saggio medio del profitto, caso mai la può rallentare nel breve periodo, accelerando il processo di concentrazione del capitale verso il monopolio già iniziata precedentemente. In tal modo sul lungo periodo riprenderà inevitabilmente la tendenza alla caduta visto che l’intervento sempre più pressante dello stato determinerà un incremento continuo della tassazione del capitale che verrà sempre meno reinvestito nel campo della produzione. Nello stesso tempo le entrate dello stato a sfavore del capitale verranno riutilizzate nel settore pubblico garantendo salari senza realizzazione di profitti. Obiettivo dello stato è quindi sostenere l’economia del settore produttivo come volano che, favorendo il consumo di massa, stimola la produzione e quindi la ripresa. Ed è grazie alle politiche keynesiane di stimolo al consumo che dopo la crisi del 37 gli Stati Uniti vedranno lo sviluppo dell’industria bellica che porterà inevitabilmente alla partecipazione al secondo conflitto mondiale. Ancora una volta si ripresenta l’errore che consiste nel considerare le dinamiche delle crisi e quindi la possibile ripresa solo dal lato del consumo e non dal lato della produzione di merci all’interno della quale agisce inesorabilmente la dinamica descritta da Grossmann. A lungo andare il meccanismo determinerà un continuo deficit pubblico a spese del capitale e dei lavoratori che provocherà l’inevitabile crollo del sistema keynesiano stesso, come abbiamo osservato in questi ultimi venti anni e che Mattick pur avendolo previsto non ha avuto il piacere di vedere confermata l’ipotesi che aveva formulato.

Il keynesismo però si imporrà in tutto il periodo caratterizzato, dopo la guerra, dal Golden Age soprattutto nella sua forma ideologica inserendosi in maniera subdola, anche grazie ad intellettuali marxisti estremamente faciloni, nei luoghi comuni espressi dalla gente ed amplificati dai mezzi di comunicazione. Così si era realizzata pienamente la tanto ricercata terza via che salvava il capitalismo senza però disdegnare le forme a capitalismo di stato nelle sue varie espressioni (dalla forma democratica dei paesi scandinavi alla forma staliniana dei paesi dell’Est). Il marxismo degli anni sessanta e settanta viene ormai associato nel bene e nel male al semplice intervento dello Stato nell’economia e alle più generali dinamiche della regolazione. Addirittura da tutte le espressioni della sinistra veniva sostenuto ormai strumento ben collaudato di integrazione della classe lavoratrice all’interno delle istituzioni espresse dalla nuova forma economica. Tutti gli intellettuali, e gli economisti accademici, ormai sposano l’ideologia keynesiana a tal punto da influenzare anche i piccoli movimenti sorti dopo l’esplosione momentanea del 68, che fanno a gara per diventare i veri rappresentanti di una classe lavoratrice che vuole dal capitalismo tutto ciò che è possibile guardandosi bene dal metterne in discussione le fondamenta. Se gli intellettuali dei partiti istituzionali della sinistra mutano il loro volto trasformandosi da stalinisti, con l’ambizione di divenire i nuovi funzionari di un sistema sovietico, in riformisti, con l’ambizione di governare il processo di trasformazione attraverso la pianificazione del sistema capitalista, le nuove leve dell’ultrasinsitra non fanno altro che agitare i pochi lavoratori che li seguono perché venga accelerato un processo di integrazione altrimenti di lunga durata se affidato alle rappresentanze istituzionali. Mattick questo lo comprende e con la critica a Marcuse, fa i conti con i luoghi comuni più diffusi secondo i quali già negli anni sessanta l’introduzione delle innovazioni tecnologiche nel processo produttivo avrebbero determinato un aumento della produttività del lavoro grazie al macchinario con notevole risparmio di forza-lavoro ed incrementi dei redditi dei lavoratori salariati nei paesi a capitalismo avanzato. Mattick ancora una volta dimostrerà che l’ aumento di produttività viene determinato dall’uso di forza lavoro con la conseguente dinamica, sul lungo periodo, di declino della profittabilità

Attraverso numerosi interventi sulla riviste Paul Mattick criticherà le tesi assai diffuse di Baran e Sweezy sul capitale monopolistico, il tardo capitalismo di Ernest Mandel, il libro di Leontiev "Input/output economics" del 1966, sulle considerazioni di Myrdall relative alla povertà dei paesi asiatici (1968), sulle rilevazioni operate sul modello marxiano di Samuelson (1971)

Possiamo ora aggiungere che una critica analoga andava fatta anche verso quelle tendenze ultraminoritarie che facevano esse stesse parte di un inevitabile tendenza all’integrazione della classe operaia attraverso la monetizzazione di tutte le contraddizioni che vivono gli operai nelle fabbriche e nella società, mascherando il loro keynesismo radicale con l’ "operaismo" di facciata. Mattick, pur con estrema correttezza, interviene anche per criticare l’ideologia operaista presente nella pubblicistica degli anni settanta con una recensione a "L’altro movimento operaio" di K.H.Roth nella quale viene sfatato il mito dell’ "operaio massa" (uno dei tanti soggetti rivoluzionari creati dall’immaginario dell’ultrasinistra), prodotto delle "nuove" tecnologie applicate alla produzione. Coerente con l’impostazione marxiana, ma anche attento ai fenomeni che lo circondano, Mattick rileva semplicemente che: "Le lotte di classe degli ultimi anni, gli innumerevoli scioperi, legali e selvaggi, non sono stati fatti soltanto dall’ ‘operaio massa’, ma da lavoratori di ogni settore, compresi gli operai specializzati, da impiegati del settore privato e pubblico, sino ai postelegrafonici e alla polizia. Che essi siano rimasti sotto il controllo dei sindacati, oppure che, sfuggiti loro di mano in un primo tempo, siano poi rientrati nell’ordine, ebbene ciò non ha nulla a che vedere con gli operai specializzati o con gli operai di linea, ma con il semplice fatto che si trattava appunto di lotte sindacali e non di lotte contro il sistema capitalistico in se. Anche l’operaio massa non ha superato finora il carattere sindacale delle sue lotte e là dove esiste da molti anni ha dato vita ad organizzazioni, nel settore industriale, che non sono meno interne al sistema capitalistico di quanto lo siano le organizzazioni operaie tradizionali" e per concludere con i miti possiamo affermare con lui che: "Incapaci di fare la rivoluzione, gli operai hanno tentato di arrangiarsi in qualche modo all’interno del sistema capitalista".

Mattick, nei primi anni settanta, fece un viaggio in Europa invitato dai gruppi dell’ultrasinistra francese ed italiana. Non dimenticherò mai il resoconto che un militante del gruppo parigino del GLAT (uno dei prodotti del disfcimento di Socialisme ou Barbarie) mi fece dell’assemblea di tutte le formazioni consiliari francesi organizzata proprio in occasione dell’arrivo di Mattick. I vari leaderini continuarono a litigare tra loro impedendogli di intervenire finchè, forse disgustato ma certamente stufo, Mattick abbandonò la sala.

Nel suo viaggio in Italia, Mattick stabilì dei contatti con alcuni militanti dell’area autonoma di Roma che iniziarono a pubblicare a partire dal gennaio 1976 la rivista "Marxiana", di cui sono usciti solo due numeri, nella quale veniva tentata l’introduzione di punti di vista distanti dal sociologismo imperante negli ambienti della sinistra conditi dal politicantismo dell’ideologia marxista-leninista. Nei due numeri apparvero gli articoli "L’inflazione" e "Consigli e Partito", ma i contributi di Mattick venivano sommersi (per poterli integrare) nella fraseologia dell’autonomia che a quel tempo andava molto di moda..

Anche se il crollo della forma keynesiana nelle economie dei paesi occidentali, iniziato a partire dalla crisi del 73, ha portato ad una inversione di tendenza verso il disimpegno dello Stato specie nelle cosiddette forme di Welfare, la trasformazione nella "nuova" forma di capitalismo liberista alla laissez faire avvenuta a partire dai primi anni 80 non è stata determinata da scelte di politica economica, ma dalle dinamiche stesse dell’accumulazione indirizzate verso il ristabilimento di margini di profitto accettabili o addirittura in aumento. Il disimpegno dello stato, che ha avuto la maggiore spettacolarità nel periodo Reaganiano negli USA e Tatcheriano nel Regno Unito (fenomeno in realtà già avviatosi nel precedente governo laburista di Healy) ha posto le basi per il ristabilimento dei margini di profitto non in nuovi investimenti nel settore produttivo ma grazie ad una tendenza verso una crescente speculazione finanziaria che garantiva, per pochi, redditività elevate in tempi sempre più ristretti. Il graduale smantellamento degli asset tipici del settore industriale, spacciato come "ritrutturazione" era in realtà finalizzato al reinvestimento degli utili di impresa o delle speculazioni sulle aree urbane ridotte ad archeologia industriale (che tanto affascina gli intellettuali) in titoli e buoni che si concentravano sempre più nelle mani di poche imprese o fondi pensione divenuti i grandi protagonisti dell’economia moderna. Il processo è proseguito inesorabilmente grazie ad un ruolo sempre più imponente delle dinamiche del credito che hanno portato, specialmente nell’ultimo decennio del secolo scorso, ad incancrenire in maniera irreversibile un sistema economico ormai sull’orlo del collasso.

Invitato più volte a partire dagli anni settanta per tenere dei cicli di conferenze in numerose università europee, Paul Mattick non ha mai assunto un atteggiamento accademico, ambiente questo assai riluttante al suo stile di lavoro, ma nello stesso tempo si è preoccupato di dare continuità al suo metodo di indagine che rimane ancora oggi originale e convincente. Numerosi studiosi sono cresciuti nel suo stile andando anche al di là del suo modello di interpretazione, anche grazie all’abbondanza di dati empirici su cui lavorare a partire dagli ultimi trent’anni (dati che ai suoi tempi erano carenti anche nelle statistiche americane). Interessante lo studio di uno dei suoi "allievi" sulla dinamica dell’accumulazione negli USA e l’andamento del saggio del profitto . Possiamo ricordare insieme a Michael Buckmiller che "Coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo hanno potuto percepire la tenacità ed il rigore che metteva nelle questioni teoriche, della stupefacente ampiezza dei suoi interessi e delle sue conoscenze della valentia con la quale manteneva le sue posizioni – razionalmente ma senza dogmatismo e controcorrente rispetto alle mode intellettuali – e la totale assenza di vanità personale".

Negli ultimi vent’anni si è sviluppata, fuori dall’Italia, una corrente di ricercatori che hanno ulteriormente approfondito le analisi delle dinamiche delle crisi avendo come riferimento il modello marxiano "classico" che hanno dato numerosi contributi interessanti, tanto da poter affermare che esiste una nuova corrente marxiana che affronta i problemi da un punto di vista empirico che in Italia è conosciuta da un pubblico molto ristretto grazie alla rivista Plusvalore.

Antonio Pagliarone



Edited by N-Z - 16/6/2011, 02:12
 
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