Forum Comunista Internazionalista

Le grandi "purghe" staliniste del 1934-1938

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GCom
view post Posted on 1/2/2014, 23:39




Le grandi «purghe›› del 1934-1938

La mancanza di liberta nell'URSS prima del 1934
Per un breve periodo successivo alla Rivoluzione ci fu in Russia una considerevole libertà di parola e di stampa, una libertà completamente sconosciuta sotto il regime zarista. Con l'vvento della guerra civile però la censura fu di nuovo rafforzata ma, finché visse Lenin, gli uomini godevano di una certa libertà nel manifestare e nello scrivere le proprie critiche. Stalin mise fine anche a questo e applicò una rigida censura. Gli uomini e le donne prima d'aprir bocca in pubblico ci pensavano attentamente e gli scrittori non solo dovevano astenersi dal fare critiche al regime, ma dovevano elogiarlo e glorificarlo. Per non poter scrivere liberamente, due tra i maggiori poeti russi (Iesenin e Majakovskij) si suicidarono. Pirma di morire Majakovskij scrisse una piccola e coraggiosa poesia sull'Agitprop, l’organizzazione comunista per la propaganda e per il controllo degli oratori e degli scrittori:

A me l'agitprop è venuto a noia.
Vergare
romanze per voi
sarebbe stato più lucroso
e più seducente.
Ma io
dominavo me stesso,
schiacciando
la gola
della mia propria canzone.

Anche i libri scritti anni e anni prima non sfuggivano alla censura. I libri di storia furono riscritti per accentuare e glorificare il ruolo di Stalin durante la Rivoluzione, altri invece furono addirittura distrutti. Uno di questi fu il libro di John Reed I dieci giorni che sconvolsero il mondo, scritto da un testimone oculare della Rivoluzione a Pietroburgo e a Mosca, perché Stalin non vi era nominato una sola volta! Coloro che continuarono a scrivere furono obbligati a pubblicare assurdità di questo tipo:

Riceviamo il sole da Stalin.
Riceviamo una vita prosperosa da Stalin.
Perfino la buona vita nella tundra tra
le tormente di neve abbiamo diviso con lui,
col figlio di Lenin,
con Stalin il saggio.

Naturalmente oltre che imporre una rigida censura, Stalin non tollerava nessuna opposizione ai suoi piani di collettivizzazione o di industrializzazione. Coloro che osavano resistere furono esiliati, imprigionati o fucilati. Non era permessa neanche un'opposizione politica: l'esilio di Trotzki, Zinoviev, Kamenev è già stato ricordato nel capitolo quarto; molti altri oppositori fecero la stessa fine. Bisogna però sottolineare che malgrado nell'URSS non si godesse di molta libertà, tuttavia nei primi dieci anni del governo di Stalin non regnava affatto il terrore. Esclusi i milioni di persone che perirono in seguito all'attuazione del primo Piano quinquennale, soltanto una minoranza fu deliberatamente uccisa o giustiziata; i più morirono per la crudeltà, la noncuranza, l'indifferenza o la pura inefficienza dell'amministrazione pubblica. Per il resto, la grande maggioranza dei cittadini sovietici poteva vivere tranquilla finché lavorava con tutte le sue possibili energie e obbediva in silenzio a tutti gli ordini dei suoi superiori.
C'è chi afferma che tutti i capi bolscevici, Stalin compreso, avessero giurato che, a differenza dei capi della Rivoluzione francese, non avrebbero mai "messo in moto la ghigliottina" contro uno di loro o contro i sostenitori dell'uno o dell'altro, perché poi nessuno avrebbe più saputo quando si sarebbe fermata. Stalin nel 1920 scriveva: « Non abbiamo accettato la richiesta di Zinoviev e Kamenev contro Trotzki perche sappiamo che la politica di tagliar teste è piena di grandi pericoli... Se tagliamo una testa oggi, una altra domani e ancora un'altra dopodomani, alla fine cosa potrebbe restare del nostro partito? ››. Per questo Trotzki fu esiliato, ma non giustiziato.

Il terrore
Nel dicembre del 1934 Kirov, governatore di Leningrado e uno dei più fedeli sostenitori di Stalin, fu colpito e ucciso da un giovane studente idealista. Stalin ebbe paura che quest'omicidio potesse dare il via a una lunga serie di assassini, con lui come bersaglio principale. Sapeva che, malgrado tutte le più rigorose precauzioni, gli scritti di Trotzki erano introdotti di contrabbando nell’Unione Sovietica: in essi Trotzki incitava continuamente il popolo russo a sbarazzarsi di Stalin, secondo il desiderio e l’ammonizione di Lenin; i trotzkisti russi che erano sfuggiti all’arresto sulla fine del 1920 furono perciò rintracciati e spediti ai lavori forzati. L’assassino di Kirov confesso di essere stato un seguace di Zinoviev e Kamenev, e così, ancora una volta, i due uomini furono arrestati: il primo subì una carcerazione di 10 anni, il secondo di 5 anni. Anche i loro seguaci furono arrestati e Stalin ordinò che il regime carcerario, fino ad allora abbastanza tollerante, diventasse più rigido.
Prima si chiudeva un occhio per libri e lettere dei prigionieri che uscivano o entravano clandestinamente dalla e nella prigione; non fu più possibile, e i carcerati che un tempo potevano studiare, furono costretti a lavorare, e lavorare molto duramente. (Alcuni storici credono che sia stato lo stesso Stalin ad organizzare l'omicidio di Kirov per crearsi un movente per agire contro Kamenev, Zinoviev e i trotzkisti.) Gli avvenimenti del dicembre del 1934 e dei primi mesi del 1935 erano soltanto il prologo agli anni del Grande Terrore (dal 1936 al 1938) le cui vittime principali furono ancora Zinoviev e Kamenev e i loro sostenitori, i trotzkisti e gli altri oppositori di Stalin sia effettivi che immaginari.
Durante le “grandi purghe” furono uccise e imprigionate sempre più numerose persone e tutto questo per indurre al silenzio gli oppositori pericolosi o soltanto i critici. Il bagno di sangue causato dalle “grandi purghe” fece inorridire milioni di persone sia dentro che fuori l’Unione Sovietica.

I crimini di Stalin furono così mostruosi da far pensare che egli fosse pazzo. È difficile infatti credere che un uomo sano di mente potesse agire come Stalin e forse è il caso di ricordare il trauma psichico provocato dalla morte di Nadezda. E non fu solo questo: una delle più importanti cause delle “grandi purghe” deve essere forse ricercata non tanto nella personalità di Stalin quanto, e soprattutto, al di fuori dell'Unione Sovietica: questa causa era Hitler. Già nel 1934 Stalin capì che il nuovo Fíihrer tedesco era irrimediabilmente ostile all'Unione Sovietica. Nel 1936, quando le armate tedesche marciarono sulla Renania, fu chiaro che tutto ciò che Hitler voleva lo avrebbe ottenuto con la forza. Non c’era dubbio che egli aspirasse a una grande fetta dell'Unione Sovietica per formare il suo “Impero germanico” e poiché i russi non si sarebbero arresi alle intimidazioni, la guerra sarebbe stata inevitabile.
Stalin allora studiò con attenzione la prima guerra mondiale cercando di capire cosa quell’esperienza poteva insegnargli per evitare un secondo crollo russo. Innanzitutto, l'Armata Rossa doveva essere consolidata il più in fretta possibile per garantire una forza militare all’URSS. E, contemporaneamente, questa doveva essere politicamente forte. Ciò per Stalin voleva dire che tutti i russi dovevano essere indiscutibilmente fedeli a lui e a nessun’altro. Stalin sapeva molto bene che esistevano uomini pronti ad approfittare dell’occasione per far sfociare lo scontento generale in una rivoluzione, così come avevano fatto Lenin e Trotzki nel 1917, con l'unica differenza che in quel momento la causa della insoddisfazione non era più lo zar Nicola, ma lui stesso. Perciò Stalin, sia nell'interesse proprio che in quello dell'Unione Sovietica, giunse alla determinazione di dover eliminare tutti i possibili oppositori.

Questo fu il retroscena dei sensazionali processi moscoviti del 1936, 1937, 1938. Ripetutamente il mondo dovette assistere sbigottito alla sfilata di capi politici che a turno sedevano sul banco degli imputati confessando i crimini più assurdi: chi dichiarava di essere agente della Gestapo, chi di complottare per uccidere Stalin, chi di provocare disastri industriali, chi di inquinare le riserve d”acqua e molte altre cose ancora. Non esistevano altri elementi di prova se non le “confessioni” degli accusati: tuttavia erano riconosciuti colpevoli e condannati a morte. In quei giorni pochi occidentali riuscirono a capire quali metodi usasse la polizia segreta per ottenere quelle confessioni.
Erano metodi “messi a punto” dal capo della polizia Iagoda: le vittime venivano interrogate sotto la luce accecante di riflettori puntati sui loro occhi, i sospettati venivano automaticamente privati del sonno o costretti a resistere all’angoscia di stare in piedi per ore e ore con il volto rivolto alle pareti o obbligati a correre in girotondo. A volte le confessioni venivano estorte dopo tremende torture, oppure con la promessa liberazione dei familiari, trattenuti in ostaggio dalla polizia. Ancora oggi molti ritengono che Iagoda avesse perfezionato una “droga miracolosa”, come lui stesso la definiva, che rendeva prima docili e ubbidienti e infine completamente idioti. È certo comunque che molti degli uomini che sedevano al banco d’accusa ai processi di Mosca sembravano veramente drogati. Due fra le più importanti vittime delle “purghe “ furono Zinoviev e Kamenev. Alcuni ritengono che essi acconsentissero a confessare crimini fasulli in cambio della promessa da parte di Stalin di non fucilare i vecchi bolscevici e di non far del male alle loro famiglie.
Il loro processo fu ripetuto privatamente più volte come le prove di una mostruosa commedia. Quando infine si svolse ufficialmente, il procuratore di stato Vyšinski fece una interminabile lista dei loro crimini: a turno i due accusati recitarono doverosamente le loro provate e riprovate confessioni, e sbalordirono il mondo quando chiesero di venir dichiarati colpevoli. Naturalmente, quello fu il verdetto della corte, e a tempo debito, furono fucilati nelle celle della prigione di Lubianka. Molti altri divisero il loro destino.

Non tutti gli oppositori di Stalin cedettero a questa commedia di “confessarsi” colpevoli davanti a un tribunale; questi uomini coraggiosi furono perciò processati in gran segreto. Nel 1937, Stalin fece arrestare diversi marescialli, generali e ufficiali dell'Armata Rossa, accusandoli di aver tentato di farlo uccidere. (Tutte queste persone saranno dichiarate innocenti dopo la morte di Sta- lin.) Tra loro l’uomo più in vista era il maresciallo Tukacevski, che durante il suo arresto fu ferito e con- dotto davanti a Stalin su una barella. Senza la minima paura disse a Stalin quello che pensava di lui. Tukacevski e i suoi compagni furono processati segretamente, ma la stampa dette grande rilievo ai loro crimini.
Nel giugno del 1937 la Pravda pubblicò in prima pagina a lettere cubitali: “SPIE, VILI MERCENARI DEL FASCISMO, TRADITORI DELLA PATRIA: FUCILATELI!” e, con varianti insignificanti, queste parole furono ripetute in cima ad ogni pagina.
Tukacevski e gli altri ufficiali furono fucilati, e in quel periodo (le “purghe” terminarono nel 1938) non meno della metà degli ufficiali dell’Armata Rossa era scomparsa e l’altra metà era indotta dal terrore ad essere fedele a Stalin, ma l’assassinio di tanti buoni ufficiali l'aveva indebolita proprio alla vigilia della guerra con Hitler.
Un crimine particolarmente crudele e stupefacente fu l'uccisione del vecchio amico Ienukidze, il tanto adorato “Zio Abele” dei suoi figli. Ienukidze non aveva mai avuto paura di affrontare Stalin e fargli notare i suoi errori, e Stalin non poteva più permettersi d'avere intorno a sé un uomo così libero. Tentò prima di stroncarlo nello spirito, organizzando un tragico “incidente” per la sua figlia adorata, ma Ienukidze non crollò e rifiutò di confessare crimini da lui nemmeno immaginati, e tanto meno commessi. Anche lui venne fucilato nella prigione di Lubianka. Trotzki, rifacendosi alla sorte di Abele nel Vecchio Testamento, scrisse dal suo esilio: “Caino, cosa hai tu fatto del tuo fratello Abele? Dopo questo odioso assasinio il tuo nome dovrebbe essere Caino Dzugašvili”.

Le “purghe” decimarono anche la famiglia di Stalin. Non si sa se Stalin fu personalmente responsabile della morete dei suoi parenti, ma egli non fece niente per aiutarli. Un giorno del 1938 il fratello di Nadezda, Pavel, di ritorno dalle vacanze, arrivò in ufficio e seppe che tutti i suoi colleghi erano stati arrestati. Morì di un attacco al cuore. Lo stesso anno il cognato di Nadezda, Stanislao Redens, venne arrestato e fucilato. In quello stesso periodo Alessandro Svanidze e sua moglie Maria (parenti di Stalin a seguito del primo matrimono) furono arrestati e deportati in un campo di concentramento. Alessandro fu giustiziato nel 1942 e Maria morì apprendendo la notizia.

Furono vittime delle “purghe”, e ben si meritano di morire i capi della polizia Iogoda e il suo successore Iezov. Il primo fu destituito alla fine del 1936, fu processato e giustiziato nel 1938. il suo successore, Iezov, fu il responsabile di alcuni dei peggiori eccessi delle “purghe” e i russi ancora ne parlano con raccapriccio. Aveva iniziato al sua carriera come capo della polizia, radunando una ventina di ufficiali. Dopo aver gridato: “Tutti voi qui presenti non siete altro che dei banditi, delle spie, dei traditori e sabotatori. Voi tutti siete diventati mercenari al soldo dei guerrafondai imperialisti”, aveva sparato su di loro come a dei cani rabbiosi.
Nel 1938, quando Stalin decise di por fine alle purghe, Iezov venne arrestato, e i medici della polizia segreta certificarono che era pazzo e lo fecero ricoverare in un manicomio, nei pressi di Leningrado. Il giorno successivo al suo arrivo fu trovato appeso a un albero del cortile con un cartello al collo che diceva: “Io sono una carogna”, ma la calligrafia non era la sua. Stalin probabilmente nel 1938 fece uccidere Iagoda e Iezov perché sapevano troppe cose, ma soprattutto e in parte per scaricare su di loro l'onta dei peggiori crimini delle “purghe”. Beria divento il nuovo capo della polizia, e mantenne la carica fin dopo la morte di Stalin. Nel 1938 Stalin aveva ormai ucciso tutti i probabili capi dell'opposizione. In politica restavano soltanto gli stalinisti fedeli: dei sette membri del Politburo di Lenin, uno solo restò vivo nell'URSS: Stalin; mentre dei ventun membri del Comitato centrale del Partito comunista al tempo della rivoluzione restarono vivi solo due membri: Stalin e Alessandra Kollontai.

Le “purghe” e il popolo
Stalin non si accontentava solamente di eliminare i capi di ogni presunta opposizione: tutti gli uomini e le donne sospettati di seguirli, dovevano essere messi in condizione di non nuocere. I trotzkisti ne furono owiamente le vittime; pochi di loro erano ancora liberi nel 1936, ma quei pochi furono arrestati e deportati nei campi di concentramento. Quelli già deportati avevano goduto di una notevole libertà all’interno dei campi di prigionia che a quell’epoca forse erano gli unici luoghi in Russia dove si poteva parlare liberamente. Testimoni oculari raccontano come in un campo di Vorkuta i trotzkisti agissero sempre
come se appartenessero a una classe privilegiata, rivendicando meno ore lavorative e più cibo. Quando le loro richieste non venivano prese in considerazione facevano lo sciopero della fame e alla fine il comandante del campo era costretto ad accettare le loro rivendicazioni.
Ma quando Iezov diventò capo della polizia le cose cambiarono radicalmente. Ogni giorno venivano radunati uomini e donne (perché nel campo c'erano intere famiglie), in gruppi di 20 o 30, si consegnava loro una fetta di pane e si diceva loro che avrebbero fatto una passeggiata. Ben presto tutti i prigionieri si resero conto del significato di quelle passeggiate perché dopo circa un'ora si sentiva in lontananza un rumore di spari e poco dopo le guardie ritornavano senza i loro carcerati. Giorno dopo giorno, gruppo dopo gruppo, essi marciarono verso la morte, cantando l’Internazionale, l’inno di tutti i marxisti. Vennero risparmiati i bambini al di sotto dei 12 anni, e
quando finalmente morì anche Iezov, restarono soltanto un centinaio di prigionieri in quel campo che ne aveva ospitati migliaia.

Mentre veniva portato avanti lo sterminio dei trotzkisti, iniziarono le fucilazioni dei seguaci di Zinoviev e Kamenev e di tutti gli altri accusati ai processi moscoviti. Ma il terrore non finì lì. Stalin ordinò alla polizia di imprigionare qualsiasi uomo, donna o bambino che fosse stato in qualche modo sleale verso il suo regime. Coloro che si univano in spontanee dimostrazioni a Vladivostock , richiedendo migliori condizioni di vita e di lavoro, venivano arrestati, così come quelli che irrompevano nei negozi alimentari di Kiev a Kharkov.
Sparì qualsiasi persona semplicemente sospettata di poter essere infida in caso di guerra. Anche se si trattava di comunisti scappati dalla Germania di Hitler li si condannava per il semplice fatto di essere tedeschi.
Ma succedeva anche di peggio; a volte la polizia faceva delle retate prendendo la gente a casaccio, sia per intimidazione, sia per incrementare la mano d'opera nei campi di lavoro, mano d’opera che si rivelò sempre più utile per la produzione di materie prime indispensabili e di prodotti manifatturieri. (Nel periodo culminante delle “purghe” esistevano in URSS almeno 10 milioni di lavoratori forzati e, intorno al 1941, questi disgraziati estraevano il 10 per cento di tutto il legname sovietico, il 40 per cento dell’uranio nonché 5 milioni di tonnellate di carbone all'anno.)

Ogni famiglia la notte viveva nel terrore, perché di solito la polizia eseguiva gli arresti nelle prime ore del mattino. Uomini, donne e bambini impazzivano quando le loro mogli, i loro mariti, le loro madri o i loro padri venivano trascinati via. Era raro che la gente del popolo fosse processata: veniva semplice- mente imprigionata. A volte le famiglie venivano informate della sorte toccata ai loro cari, altre volte invece non sapevano più niente. Con coraggio e notevole spirito la popolazione di Mosca cominciò a comporre delle feroci barzellette << sulle 4 del mattino >>, l'ora tipica degli arresti. La più popolare fu la seguente:
“Alle 4 del mattino bussano alla porta di una casa moscovita, abitata da cinque famiglie. Tutti scendono dal letto, ma nessuno osa aprire la porta.
Aspettano, tremanti, sulla soglia delle loro camere da letto.
Bussano sempre più forte. Alla fine Abramo raccoglie tutto il suo coraggio nelle mani e apre la porta.
Lo si sente parlottare per un po' con un uomo, poi torna “con un largo sorriso dai suoi compagni terrorizzati:
Non preoccupatevi, compagni, la casa e in preda alle fiamme. E tutto qui”

Molte cose interessanti sulla vita in Russia durante il periodo delle “purghe” sono raccontate da Wolfgang Leonhard. Era un adolescente quando, lui e sua madre ardente comunista, si rifugiarono nell'URSS dalla Germania nazista. Wolfgang fu sistemato in un collegio speciale per i profughi comunisti tedeschi e sua madre prese in affitto una stanza piccolissima, nelle vicinanze della scuola. Un giorno il ragazzo ando a casa a vedere come mai sua madre aveva mancato l’appuntamento fissato con lui.
Ecco il racconto: “decisi i andare a casa a trovarla nella sua stanzetta temevo che fosse malata. Mi sentivo a disagio quando suonai il campanello del portone. Un inquilino aprì, mi lanciò un'occhiata strana, mi fece entrare. Corsi lungo il corridoio e mi fermai smarrito di fronte al primitivo tramezzo di legno. La porta chiusa a chiave dall'esterno e c”erano due sigilli… Restai impietrito. Allora la porta della camera accanto schiuse e una voce mi domandò:
”Cosa vuoi? ”
”Cerco mia madre che vive qui.
”Tua madre non c'è più”
"Dov’è dunque? ”
"Se n'è andata”
"Ma come, perché? Perché non ha lasciato nulla? ”
Niente da fare: silenzio.
Per molto tempo Wolfgang ritorno a cercare sua madre; era disperato: sapeva che se fosse andata via per affari l’avrebbe avvertito.Dopo molti mesi Wolfgang ricevette una cartolina dalla madre, in cui gli diceva d'esser`e in un campo di concentramento, condannata a 5 anni per « attività trotzkiste ››. Il suo vero crimine era di essere tedesca. Trascorsero dodici anni prima della sua liberazione e quando avvenne era una donna ormai disfrutta.
Wolfgang ha anche descritto il terrore che regnava nella sua scuola. Uno dopo l'altro gli insegnanti venivano arrestati e letteralmente scomparivano. Ben presto il terrore si diffuse anche fra i ragazzi, poiché la polizia segreta ne arresto due che non sarebbero mai più stati rivisti. Era terribile vedere come persone assolutamente innocenti cercassero di provare la loro innocenza: “quelli che andavano e venivano in silenzio erano arrestati come quelli che non perdevano nessuna possibile (o impossibile) occasione per esternare a gran voce entusiastici apprezzamenti sugli articoli di fondo della “Pravda”. Gente che tornava a casa dal lavoro e andava direttamente nelle sue soflitte, senza uscirne fino al giorno dopo, poteva anclfessa cadere vittima dell'NKVD [polizia segreta]; e la stessa fine facevano quelli che si imponevano di non notare niente di strano e che si comportavano esattamente come prima. I prudentissimi che arrivavano a bruciare metà dei loro libri (inclusi quelli autorizzati) non avevano maggiore probabilità di sfuggire agli arresti di coloro che non osavano neppure accendere le proprie stufe per paura d”essere sospettati di possedere documenti da eliminare.
In conclusione, non esisteva modo di provare la propria innocenza”. l’incubo finì nel 1938. Stalin non vedeva più attorno persone che potessero nuocergli e si rendeva conto che il resto della popolazione era sufficientemente terrorizzato e quindi sottomesso ai suoi voleri. Probabilmente nessuno conoscerà mai la cifra esatta delle vittime causate dalle “purghe” ma una valutazione approssimativa si aggira intorno alle seicentomila, ottocentomila persone giustiziate e a 5 milioni di deportati mandati a soffrire o morire nei campi di concentramento.

Un post scriptum alle « purghe »
Il principale accusato dei processi moscoviti, però non comparve maidavanti al banco degli imputati, ma i suoi argomenti di difesa erano stati uditi in tutta l’Unione Sovietica. Trotzki, rifugiato prima in Norvegia e poi in Messico, lavorava infaticabilmente per pubblicizzare i crimini di Stalin, per dimostrare le assurdità della “evidenza” nei processi di Mosca, e per esortare il popolo sovietico a sbarazzarsi di Stalin, il quale, d'altra parte, fin quando Trotzki fosse stato in vita non avrebbe potuto sentirsi al sicuro.
Un giorno nel 1940 alcuni agenti di Stalin, dopo aver sopraffatto le guardie poste a sua protezione, fecero irruzione nella casa di Trotzki in Messico, si appostarono alle sue spalle e lo colpirono a morte con una piccozza. Il sangue si sparse sui fogli che Trotzki stava riempiendo.
Per una strana ironia della sorte si trattava del manoscritto del suo libro sulla vita di Stalin.
 
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Luca R
view post Posted on 7/2/2014, 21:53




bah, mi sembra una storia banale, di uomini malvagi e dipoveretti che hannno subito la ferocia degli aguzzini. Un quadro alla Petacco, dove basta sostituire la e con la a per pesarne la validità e l'importanza. Rivoluzione e controrivoluzione non possono essere ridotte a racconti moraleggianti. Una morale sotto sotto pacifista che mette in guardia contro il "potere" e la sua necessaria violenza. Speriamo che la prossima volta sia il proletariato ad eservitarla e non la forza del capitale nel nascente caputalismo russo come fu in Russia dopo il 22
 
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GCom
view post Posted on 8/2/2014, 23:05




si è cosi. una cronaca semplice, non banale, l'estratto è di un libro per ragazzi -stalin uomo d'acciaio- facile lettura per un approccio alla questione. il carattere del testo vorrebbe essere super-partes, ma come tutte le pubblicazioni "neutrali" non lo è affatto, interessante per la cronaca, scivola pesantemente su seconda guerra mondiale e guerra fredda. purtroppo fa dello stalinismo l'emanazione del comunismo. la figura di Stalin, dei ricevimenti a cui non si veniva ammessi se non in frac, i suicidi di chi gli stava attorno e di altri allucinanti particolari e retroscena, oltre alla cronistoria, ai kulaki, le purghe, viene resa nella sua infinita miseria.
 
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Lotus2
view post Posted on 9/2/2014, 21:46




luca, però non dobbiamo neanche negare l'abbrutimento morale degli uomini nei processi reazionari e controrivoluzionari, che è reale e terribile.
 
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view post Posted on 7/12/2015, 20:30

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Non so quanto sia esatto riportare che esistente Lenin esisteva una certa libertà di espressione, in quanto egli fu più che esplicito nel dichiarare la negazione di ogni diritto di espressione alla borghesia, tanto da sollevare forti critiche da parte di Zinoviev e Kamenev.
Indubbiamente Lenin sapeva scendere a compromessi e vi ci era costretto, più di altri in modo misurato oculato, fino a quando la situazione lo consentiva.
Avrebbe fatto volentieri a meno di promettere la terra ai contadini e di consentire la NEP.
Se fosse anche sopravvissuto non si sa se anche lui non sarebbe stato travolto dagli eventi controrivoluzionari.
Già sul principio democratico si era espresso più che categoricamente, ma la situazione oggettiva lo obbligò a conservare questo termine, che rappresenta la lue della rivoluzione, la situazione era iniziata a mutare già prima della sua morte.
E' dura governare una nave, mantenendo la giusta rotta, col mare in burrasca, i venti contrari e l'equipaggio in rivolta.
 
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Malagodi47
view post Posted on 9/12/2015, 14:32




La libertà di espressione c'era eccomene, tra compagni che parteggiavano con lo spirito e la passione per la rivoluzione. Mentre era negata totalmente per i nemici dichiarati e non. Era una libertà ferrea, per chi non sa cogliere il salto dialettico un controsenso.
Il tema della NEP è di altra natura, lo sviluppo delle forze produttive in senso capiatlistico era inevitabile, in attesa della rivoluzione mondiale la dittatura del proletariato avrebbe provato a mantenere il potere politico ossia la direzione internazionalista. Durò pochissimo,
 
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5 replies since 1/2/2014, 23:39   11419 views
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