Forum Comunista Internazionalista

Sul partito e la sua necessità, Battaglia Comunista

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spartaco lavagnini
view post Posted on 12/5/2010, 19:25






Da Battaglia comunista n. 12, dicembre 1978

[…] In quest’epoca di confusione e di smarrimento politico, tutti si richiamano a Marx, a Lenin e al socialismo, e in tanta babele di lingue e di ideologie che impazzano sulla scena sociale e politica del mondo, si stenta a credere che il tuo Marx, il tuo Lenin, il tuo socialismo siano davvero non contaminati, e siano quelli che certamente conducono il proletariato e il suo partito verso una soluzione rivoluzionaria della crisi che dilania la società capitalista.

Il partito deve pur calare in questa situazione non estranea alla sua lotta, ma come? Ecco il problema della tattica. Se per tattica si intende l’azione da svolgere in una situazione data per degli obiettivi intermedi a sé stanti, questa non è la nostra tattica perché romperebbe la linea di sviluppo di una visione strategica della lotta. Il momento tattico va sempre considerato come momento di sviluppo sulla linea generale di una strategia rivoluzionaria di classe. Questo momento della azione contingente, in quanto visto e risolto come proiezione verso il fine rivoluzionario, non è mai fine a se stesso ma in funzione di quel fine.

Non ci sarà partito rivoluzionario se non si affronta l’ondata di contaminazione ideologica dilagante tra le stesse forze minoritarie che osano richiamarsi al marxismo. Nostro compito, quindi, è quello di lavorare al ripristino dei valori dottrinari del marxismo scientifico e della dialettica del superamento rivoluzionario contro ogni faciloneria teorica basata sulla dialettica formale. Dalle esperienze intellettualistiche della scuola di Francoforte (Adorno, Marcuse, ecc.) alle più recenti esercitazioni sullo storicismo della scuola di Luis Althusser, il tentativo della cultura borghese è sempre lo stesso: quello, cioè, di piegare dottrina e prassi del materialismo dialettico di Marx alle esigenze della conservazione, ad una interpretazione in chiave idealista del mondo e delle vicende umane. Una visione che conduce inevitabilmente, per mille canali diversi, al compromesso e alla capitolazione.

Non ci sarà partito rivoluzionario se non si sfaterà la troppo facile teoria di coloro che predicano la necessità di una azione che “affretti” lo scioglimento dei nodi e faccia esplodere le contraddizioni del sistema; dimenticando l’assunto del marxismo che la volontà realizzatrice degli uomini diviene operante non per virtù propria ma sotto la spinta di una condizione obiettiva che la determina.

Non ci sarà partito rivoluzionario se non si avrà chiara la natura di classe dello Stato (di tutti gli Stati anche se autodefiniti “socialisti”), nella fase della dominazione imperialista. Ogni moto delle zone del sottosviluppo che perviene alla conquista armata del potere, costruisce lo Stato sul modello più avanzato saltando le fasi intermedie dello Stato liberale, democratico parlamentare, per consentire un processo di sviluppo di una economia pianificata. E anche in questo caso, saltando tutte le fasi intermedie per la nota legge della inegualità dello sviluppo economico, tipico del capitalismo in genere e di quello monopolistico in particolare.

Ma si tratta in ogni caso di Stati a struttura capitalista

e di una economia che viene sviluppata, dalle forme della feudalità e del pre-capitalismo a quelle del capitalismo moderno, sulla base dei rapporti di produzione caratterizzati dal salario, dal profitto e dalla accumulazione, e propri di una società divisa in classi.

In questa analisi, anche ciò che può apparire come “progressivo”, soggiace alla legge ferrea della espansione e della dominazione del capitalismo. In termini di strategia generale tutto ciò vuol dire che alla globalità dello schieramento imperialista deve necessariamente contrapporsi la globalità di classe del proletariato rivoluzionario, quale che sia il grado della sua coscienza di classe e della sua conoscenza del fine.

D’altro canto non esiste, né può esistere, un terzo fronte, una terza strategia oltre quella dell’imperialismo, da una parte, e del proletariato rivoluzionario, dall’altra. […]
Onorato Damen


L'operare del partito di classe nella situazione attuale

* Prometeo, 1971

Oggi stiamo lentamente percorrendo la fase finale della degenerazione della III Internazionale. Stiamo cioè per uscire dalla fase controrivoluzionaria di “stanca” che abbiamo vissuto finora e caratterizzata da alcuni aspetti precisi. Tale fase presentava le seguenti linee essenziali di sviluppo:

1. solidità dal punto di vista economico, del capitalismo (diciamo solidità sebbene essa fosse momentanea e maturasse in sé le ragioni della propria fine);
2. scomparsa della coscienza di classe nelle masse proletarie, in cui prevale invece il più gretto corporativismo inserito in una logica fondamentalmente riformista;
3. prevalere delle forze della democrazia e della socialdemocrazia borghesi alla guida delle masse operaie;
4. abbandono o mistificazione totale dei principi marxisti e rivoluzionari.

Da qualche mese a questa parte qualcosa è andato mutando. In particolare, il primo punto si è modificato. La solidità oggi non esiste più. Il capitalismo è entrato in una crisi gli sviluppi della quale non sono prevedibili se non sul piano divinatorio, che evidentemente è al di fuori della nostra competenza. Resta il fatto che questa è la più grave crisi che abbia colpito il sistema borghese dal secondo dopoguerra e che minaccia di trasformarsi a breve o a lunga scadenza (dipende da molti fattori, imprevedibili appunto) in una crisi verticale in cui il proletariato potrebbe trovare le ragioni della propria emancipazione. A questo punto è evidente, almeno per i leninisti, la necessità di chiarire alcune questioni riguardanti l’operare del partito di classe nella situazione in cui il capitalismo mostra evidenti i segni della propria crisi mentre il proletariato non ha ancora trovato il modo di sbarazzarsi delle rovine della III Internazionale.

Le funzioni storiche del partito sono in primo luogo la elaborazione a livello di linea politica generale (strategica quindi) delle spinte irrazionali provenienti dalla base di classe; in secondo luogo, sulla scorta di tali indicazioni strategiche guidare le masse proletarie all’assalto dello Stato borghese.

Venendo a mancare, come oggi, le condizioni per l’immediato assalto rivoluzionario, i compiti del partito consistono nel primo punto indicato (elaborazione teorico-politica) e nell’opera di penetrazione del partito fra le masse, nella prospettiva di assolvere in pieno anche il secondo punto (guida politica, militare, organizzativa dell’assalto decisivo).

Si tratta ora di comprendere a fondo questo problema che sta alla base dell’operare del partito in termini di prassi rivoluzionaria.

A questo scopo è necessario partire dalle premesse metodologiche del marxismo per sviluppare da esse le necessarie conclusioni politiche.
Il rapporto dialettico struttura/sovrastruttura nel problema del da farsi

“Il rapporto struttura e sovrastruttura è dialettico e non meccanicamente deterministico” — ecco una proposizione tanto da tutti ripetuta, quanto poco compresa. Un notevole contributo alla chiarificazione di questo problema ci viene da Engels:

Sono gli uomini che fanno essi stessi la loro storia, ma in un ambiente che li condiziona sulla base di dati rapporti effettivi; tra questi ultimi i rapporti economici, qualunque sia l’influenza esercitata su di essi dagli altri rapporti d’ordine politico e ideologico, sono pertanto quelli la cui azione è in definitiva decisiva e che costituiscono il filo conduttore che permette di comprendere l’insieme del sistema. (1)

Nell’Antidüring, ancora Engels scrive:

Fin tanto che un modo di produzione si trova nel ramo ascendente del suo sviluppo se ne compiacciono persino coloro che meno sono avvantaggiati dal modo di distribuzione ad esso inerente. […] Che anzi, finché questo modo di produzione resta socialmente normale, si è, in complesso, contenti della sua distribuzione, e se una protesta si eleva, sorge allora dal seno medesimo della classe dominante (Saint-Simon, Fourier, Owen) e sulle prime non trova favore alcuno presso le masse sfruttate. Solo quando già il modo di produzione in questione ha percorso un buon pezzo della sua curva discendente, quando esso è già per metà sopravvissuto a se stesso, quando già le condizioni della sua esistenza sono già in massima parte scomparse e la forma destinata a succedergli batte quasi già alle porte, solo allora la distribuzione che diventa sempre più diseguale appare ingiusta… (2)

Abbiamo citato per esteso per avere un’ampia base da cui partire. La struttura quindi nel suo muoversi, nel suo esistere impone alla coscienza degli uomini la ricerca di sovrastrutture politiche, culturali, religiose, morali, che giustifichino o meglio spieghino quella stessa struttura e siano funzionali al suo condizionamento. Ciò esclude il sorgere e l’afferrarsi di ideologie, di religioni, di concezioni politiche assolutamente avulse dal contesto della struttura economica e sociale e parto della “pura fantasia” di un individuo più o meno geniale.

La società però, da che esiste la storia scritta, è società di classi che svolgono un diverso ruolo nel processo produttivo, occupano un determinato scalino nella scala del sistema distributivo e sono in determinati rapporti gerarchici tra loro, perché in rapporti di sfruttamento e di soggezione economica.

Classi dominanti e classi dominate non sono soltanto distinte e contrapposte; esiste un’altra differenza di capitale importanza nella questione che ora ci interessa: la classe dominante permea di sé tutta la società, che è plasmata secondo i suoi interessi, che lavora e produce secondo i sistemi da essa imposti; la classe dominata invece subisce.

La società capitalista vive in funzione del processo di sfruttamento del proletariato da parte della borghesia, in funzione quindi dell’oppressione sul proletariato. In essa, dunque, vivono e si acuiscono grandiose contraddizioni di interessi, siano esse coscienti o meno agli individui che compongono la società. Nella esistenza del suo sistema capitalistico e nella necessità di conservarlo, la borghesia trova le basi per le proprie impalcature sovrastrutturali. Essa adegua le sue concezioni filosofiche, politiche, morali, religiose, la sua ideologia nelle varie forme, alla necessità di auto-conservazione.

Autoconservazione significa anche dirigere la propria economia in un senso piuttosto che in un altro, scegliere questa forma di governo piuttosto che un’altra, adeguare la propria scuola a un tipo di sviluppo economico previsto piuttosto che lasciarla legata a schemi ormai superati o tornare addirittura indietro. Questa è la famosa azione di ritorno delle sovrastrutture sulla struttura. La borghesia è libera di fare le scelte che crede e può, per esempio, scegliere ad arbitrio fra governo democratico e governo fascista, o piuttosto anche quella scelta è condizionata dalla fase politico-sociale che si trova ad attraversare, dal grado e dal tipo di tensioni sociali accumulate e quindi, in ultima analisi, come dal passo di Engels, dalle condizioni di salute della economia capitalista? Evidentemente la famosa “libertà di scelta” va a farsi friggere.

Nell’intreccio tra struttura e sovrastruttura, quindi, è sempre la economia borghese il “filo conduttore” principale. La economia borghese cioè matura la propria intrinseca contraddizione, mentre la borghesia tenta di attutirne gli effetti, con i potenti mezzi di cui dispone. Il proletariato che vive e soffre lo sfruttamento economico vive e soffre anche il condizionamento ideologico, politico psicologico da parte della borghesia. La cultura è della borghesia perché è l’unica classe nelle condizioni materiali di fare della cultura; la scuola, l’educazione, la morale sono della borghesia e funzionali alla borghesia perché è l’unica in grado di imporle come dominanti. Il proletariato subisce, anzi accetta in gran parte il giogo fino a quando la borghesia è in grado di mantenerlo e di mantenere vitali ed efficienti gli strumenti del proprio dominio economico, politico e culturale, fino a che è in grado di dividerlo elargendo scarne briciole dei suoi enormi profitti. Oggi inizia a mostrare la sua incapacità a garantire nel tempo la stabilità delle proprie strutture e delle proprie “elargizioni”. Tuttavia 50 anni di storia alla rovescia, 50 anni di regresso della coscienza di classe e di mistificazione borghese, fanno sentire il loro peso. La borghesia è riuscita, attraverso un’opera minuziosa di propaganda della propria falsa stabilità, ad assicurarsi una barriera protettiva formata dalla adesione delle grandi masse alla strategia riformista o dalla incapacità del proletariato a trovare alternative valide al di fuori della faciloneria velleitaria dei gruppuscoli. Solo l’approfondirsi della crisi può creare le condizioni per la ripresa della lotta di classe rivoluzionaria.

Questa è la realtà, per quanto dura sia, del dominio borghese contro cui si infrangono i conati volontaristici di molti intellettuali estranei al marxismo e alla lotta di classe. Il proletariato non è in grado di incidere minimamente sul corso delle cose per effetto di volontà e questo a causa del fatto che fino a che il corso delle cose non avrà autonomamente cambiato la situazione, al proletariato manca quella volontà. Se così fosse la rivoluzione l’avremmo fatta da un pezzo, anzi non ce ne sarebbe stato bisogno, dato il lento ma graduale sforzo di volontà nel cambiare le cose del proletariato.
Il fare: che cosa e come

Ma, potrebbero obbiettarci, il partito che ci sta a fare? Non è forse esso che ha il dovere di incidere sulla realtà? No! E per il semplicissimo e indiscutibile motivo che il partito non ne ha la capacità. L’azione di ritorno della volontà sulla base della determinazione, l’economia, è possibile solo a chi da quella base è stato determinato. Sulla economia borghese “ritornano”, modificandola, coloro i quali da essa e dalle sue istanze hanno tratto motivo di azione e su di essa agiscono aiutandola a vivere e a prosperare. Questo infatti è il senso della azione “realistica” del P.C.I.: salvare il capitalismo dal crollo. Il partito di classe muove dalla esigenza storica di abbattere il capitalismo e va contro di esso, criticandolo spietatamente, cogliendo di esso tutte le contraddizioni e denunciandole di fronte al proletariato. Sul capitalismo interviene direttamente solo per abbatterlo.

Il capitalismo, acuendo la propria contraddizione di fondo, rinnovando continuamente la propria base produttiva, accentrando il potere economico, accentuando progressivamente il processo della socializzazione del lavoro, e soprattutto acuendo la propria crisi, approssima nelle cose e facilita il trapasso al socialismo. Ma questo non avverrà mai se la classe operaia al momento dato non avrà e non concentrerà tutta ]a sua volontà e tutta la sua enorme energia nell’opera di distruzione del vecchio ordine e del vecchio Stato. Ciò può avvenire a patto solo che il maturare delle condizioni oggettive sia accompagnato parallelamente dalla presa di coscienza di strati sempre più vasti del proletariato, dal rafforzamento adeguato del partito di classe, dalla penetrazione di esso in tutti gli strati proletari. In questo senso va inteso il lavoro di partito per quanto riguarda la preparazione pratica della rivoluzione. Ripetiamo Engels:.

[…] Solo quando le condizioni della sua [del capitalismo] esistenza sono già in massima parte scomparse e la forma destinata a succedergli batte già alle porte, solo allora la distribuzione appare ingiusta.

Ma verrebbe a cessare il partito se questo non si preoccupasse sempre, in qualsiasi situazione e soprattutto in situazione come l’attuale, di costruire pazientemente quei legami, per ora isolati, con la classe, che formano la trama di fondo del tessuto unitario che dovrà aversi al momento dell’assalto.

Tutti riconoscono che è necessario sviluppare la coscienza di classe del proletariato, ma ben pochi sanno che cosa essa sia e quindi come la si costruisca.

Sentiamo allora cosa ne dice Lenin:

La coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall’esterno, cioè dall’esterno della lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti fra operai e padroni. Il campo dal quale soltanto è possibile attingere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi e di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le classi. Perciò alla domanda: che cosa fare per dare agli operai delle cognizioni politiche? — non ci si può limitare a dare una sola risposta, a dare quella risposta che nella maggior parte dei casi accontenta i militanti, soprattutto quando essi pendono verso l’economismo, cioè “andare tra gli operai”. Per dare agli operai delle cognizioni politiche, i socialdemocratici devono andare tra tutte le classi della popolazione, devono inviare in tutte le direzioni i distaccamenti del loro esercito. (3)

Ciò significa che agli operai va portato dall’esterno il prodotto della elaborazione teorica e politica del partito di classe, elaborazione che parte dalle esperienze storiche del proletariato, dall’esame delle classi sotto il profilo economico e politico a prescindere dalla loro recepibilità da parte delle masse in quel preciso momento. Questo lavoro da tribuno proletario tra le masse servirà a gettare quei semi che il maturare delle condizioni oggettive farà germogliare sotto forma di presa di coscienza. Ma chi non semina oggi neppure raccoglierà mai, e chi semina i semi sbagliati raccoglierà in conseguenza.

Solo pochissimo si potrà raccogliere subito, ma è quel poco di cui il partito ha assolutamente bisogno per garantire la continuità di una politica di classe, perché il partito possa far vivere la propria dottrina, la propria critica, il proprio programma nel proletariato. Va fatto con estrema chiarezza e determinazione dicendo oggi ciò che gli opportunisti dicono di rimandare al domani e che mai invece diranno.
Come organizzare il lavoro

È bello per esempio “lasciar perdere” il problema cinese fra gli operai e lasciarlo alle masturbazioni intellettuali di chi ha paura di dire come stanno le cose, con la falsa scusa che tanto agli operai non interessa avere le idee chiare sulla Cina. Ma chi inciterà poi gli operai a rifiutare la guerra che presto scoppierà, se in essa si muoverà la Cina da tutti oggi definita socialista o, il che fa lo stesso, semplicemente dimenticata?

Ancora è comodo illudere se stessi e gli altri sulla reale natura del sindacato, per non urtarsi con i fenomeni attualmente dominanti, con le manifestazioni di un processo irreversibilmente in corso. Ma a chi, se non al partito di classe, spetta il compito di illuminare gli operai su quanto avviene sulle loro spalle e di dare le alternative politiche di classe?

Sono questi solo alcuni esempi di ciò che deve stare alla base dei rapporti del partito con la classe o, come attualmente, con gli strati più avanzati e sensibili di essa.

Perché l’instaurazione di tali rapporti sia realmente possibile, è prioritario e fondamentale poter disporre di quadri che sappiano autonomamente muoversi, se necessario, sulla base della piattaforma politica e programmatica del partito. È cioè fondamentale rendere sempre più adeguata la nostra organizzazione politica ai compiti che ci spettano. Dobbiamo moltiplicare gli sforzi nella preparazione dei quadri, creare vere e proprie forme di scuola di marxismo, trovare i sistemi più adeguati a forgiare sempre nuovi quadri da lanciare poi nel fuoco della lotta politica nelle fabbriche, nei quartieri, nella società. I quadri di cui già disponiamo devono costantemente operare nella divulgazione delle prese di posizione politiche del partito, organizzare tutte quelle denunce politiche che sole consentono al partito di contribuire alla maturazione della coscienza politica degli operai e delle masse sfruttate.

Il nodo da risolvere, e che il partito ha già risolto almeno nella impostazione del proprio lavoro, sta nel far correre parallelamente preparazione teorica dei quadri e lotta politica all’esterno. Ciò è fondamentale poiché la lotta politica del partito di classe non è la lotta per se stessa: richiede una chiara impostazione che presuppone chiarezza di idee e capacità di combattere per esse. Gli episodi della lotta quotidiana del proletariato interessano il partito non nella misura in cui esso è in grado di prenderne materialmente la guida — a ciò sono sufficienti dei buoni demagoghi, dei buoni “sindacalisti di sinistra”, tipo “Lotta Continua”, per intenderci — bensì nella misura in cui è in grado di fa rivivere in essi la strategia e le parole d’ordine del partito di classe, a condizione cioè che in essi e per essi possa condurre l’opera di chiarificazione politica che sola consente di trarre gli insegnamenti validi al proletariato per la sua lotta generale di emancipazione. Da sempre i comunisti sostengono, e la storia dà loro completamente ragione, che gli episodi, anche violenti, passano, ma la loro corretta interpretazione resta per illuminare la strada verso l’episodio cruciale della storia: la Rivoluzione. Ce lo ha insegnato con l’esempio il partito bolscevico con Lenin e di quell’esempio facciamo tesoro. Inutile entusiasmarsi dei fatti che avvengono se non si ha la capacità di capirli. Questa capacità è la forza prima che consente al partito di parteciparvi utilmente. Tutto il resto, forza numerica, organizzazione operativa, ecc. sono in subordine seppure necessarie.

Si tratta allora di distribuire correttamente gli sforzi e di coordinarli.

Il partito opera nella cosiddetta “pratica sociale” quanto le sue forze preparate gli consentono di farlo con continuità e costanza. L’estendersi delle zone di intervento, l’ampliarsi della influenza sono subordinate al rafforzamento politico del partito in quadri capaci di portare la sua piattaforma politica fra le masse sfruttate. È un’opera lenta e grandiosa alla quale chiamiamo tutti i giovani, tutte le forze disposte a combattere per l’unica causa per cui vale la pena di morire.
Mauro Jr.

(1) Engels: “Lettera del 1894”

(2) Engels: “Antidüring”.

(3) Lenin: “Che fare?” — Opere scelte, vol. I, pag. 192. Ed in Lingue estere — Mosca.
 
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