Forum Comunista Internazionalista

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view post Posted: 15/7/2017, 14:45 1917-2017, “Rivoluzione d’ottobre” - Storia
Nel 1917 il mondo era nel pieno di una forte crisi economica e scosso dalla prima guerra mondiale. Fame e guerra provocavano scioperi e ribellioni. In questo contesto storico la Rivoluzione d’ottobre rappresentava un avvenimento epocale, capace di scuotere gli animi, alimentando le paure della classe padronale, le speranze di tanti lavoratori e le prospettive politiche dei comunisti.

La Rivoluzione d’ottobre aveva mostrato con chiarezza la necessità e la possibilità di una vera trasformazione sociale, basata sul protagonismo proletario, per superare lo sfruttamento ed il sistema del profitto. Essa però da sola non bastava. La rivoluzione in Russia doveva rappresentare infatti solo il primo passo di una rivoluzione internazionale, la rottura del primo anello della catena capitalistica mondiale. La vittoria rivoluzionaria in Russia restò però un atto isolato. L’immaturità politica del movimento comunista internazionale dell’epoca - il ritardo con il quale si formarono i partiti comunisti e la stessa Internazionale - contribuirono ad allontanare la possibilità di estensione della rivoluzione proletaria negli altri paesi.

Non è possibile costruire il “socialismo in un solo paese”, il mancato sviluppo della rivoluzione internazionale segnò quindi il destino della stessa Russia, aprendo le porte ad un processo controrivoluzionario e all’edificazione del capitalismo di stato, spacciato poi per comunismo.

Non solo, quella sconfitta creò un forte disorientamento tra i comunisti, disorientamento che ancora oggi continua a far sentire i propri effetti. Anziché fare un serio bilancio della sconfitta ed imparare dagli errori molti comunisti si fecero prendere dallo sconforto, altri iniziarono a fare passi indietro rispetto alle posizioni rivoluzionarie fino a quel momento acquisite, altri ancora sostennero il processo controrivoluzionario “stalinista” spacciando quel capitalismo di stato come una realizzazione comunista.

La Sinistra Comunista Italiana, estromessa dal PCI ed organizzata in Frazione, è stata per noi l’unica corrente politica capace di fare un vero bilancio, sebbene anche essa abbia mostrato dei limiti. Il Partito Comunista Internazionalista ha continuato quel lavoro, superando i limiti che aveva mostrato la Frazione. Un serio lavoro di bilancio, certamente non facile, durato inoltre decenni ed alimentato anche grazie al rapporto nato con la CWO.

Quest’anno ricorre il centenario di quella rivoluzione. Non ci interessano celebrazioni retoriche e cerimonie rituali. Riteniamo invece che sia utile cogliere l’occasione per proporre un percorso di letture che contribuisca a far riflettere, evidenziando le conquiste sul piano politico ottenute grazie all’esperienza dell’Ottobre, i limiti di quella rivoluzione e sfatando i tanti miti che si sono costruiti intorno a quanto è avvenuto dopo, con lo “stalinismo”.

Riproporremo nel corso del 2017, in questa sezione del sito web, gli articoli più significativi, patrimonio della nostra organizzazione, riguardanti la Rivoluzione in Russia, la controrivoluzione ed il cosiddetto “socialismo reale”, arricchendoli con nuovi lavori. Strumenti politici per riflettere sul passato, ma soprattutto sul presente, sulla necessità della rivoluzione comunista oggi e sui tanti problemi politici legati ad una trasformazione così complessa.

http://www.leftcom.org/it/articles/2017-04...miti-da-sfatare
view post Posted: 17/5/2016, 11:18 La crisi getta il mondo nella guerra - Attività
Milano - Conferenza / dibattito pubblico


La crisi del capitale getta il mondo nella guerra, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Siria alla Libia. Per uscire da questa spirale perversa una sola via: preparare la rivoluzione.

Battaglia Comunista / P.C.Internazionalista organizza una conferenza / dibattito pubblico

Venerdì 20 maggio, ore 21:00

Presso la nostra sede in via Calvairate, 1 - Milano (citofono 126)

Tram 12 – Filobus 90 / 91 – Passante ferroviario stazione Porta Vittoria
view post Posted: 29/4/2016, 21:32 TCI per il Primo Maggio 2016 - Attività
Nel vortice imperialista della crisi, dello sfruttamento e della guerra.

È tempo di organizzarsi

Viviamo in un mondo sempre più pericoloso. Il capitalismo si trova nella crisi più profonda dagli ultimi ottant’anni. La caduta del saggio del profitto ha portato alla stagnazione globale degli investimenti. Le conseguenze sono visibili ovunque e includono la distruzione ecologica che minaccia sempre più lo stesso futuro della vita sul pianeta.

In tutto il mondo i governi hanno attaccato lo standard di vita della classe lavoratrice, nel tentativo (vano) di ridurre il carico di debiti provocato dalla speculazione finanziaria.

Allo stesso tempo, la crisi economica ha portato aggressioni e conflitti bellici in molte regioni del mondo. Che sia nel Mar Cinese Meridionale, in Medio Oriente o in Ucraina – ovunque le potenze imperialiste stanno mostrando i muscoli in un'anticipazione di quello che potrebbe presto diventare un conflitto aperto.
Guerra e crescente barbarie

Sembra che ci troviamo nella fase embrionale di una guerra globale. La linea del fronte dei conflitti imperialisti attraversa ormai ogni area geografica, gli attentati degli ultimi mesi a Bruxelles, Baghdad, Beirut, Istanbul, e Ankara lo dimostrano. Il terrorismo del fondamentalismo islamico non è che un'espressione del conflitto tra le potenze imperialistiche e/o aspiranti tali. Inizialmente protetto e sostenuto dagli Usa contro l’Unione Sovietica e da alcuni regimi nazionalisti arabi, l'ISIS ha poi trovato il favore delle oligarchie petrolifere della penisola araba e ottenuto la tacita complicità della Turchia. Oggi è sfuggito dal controllo dei suoi protettori e vuole giocare in proprio sullo scacchiere internazionale.

Oggi l'ISIS è il punto di riferimento principale per le forze fondamentaliste. Può anche essere una guerra asimmetrica, ma la logica che sottostà alle bombe dell'ISIS è la stessa che fatta propria dai suoi nemici “occidentali”. Mentre i contadini e i pastori indifesi vengono massacrati con le più moderne armi da guerra, l'ISIS ammazza la gente indifesa mentre si reca a lavorare, ma lo fa con metodi più “artigianali”.

Si tratta di una condizione umana squallida, senza prospettive di cambiamento. L'esperienza del capitalismo di stato, quella forma di Stato borghese spacciato – per la gioia di tutti i reazionari – per “comunismo”, insieme alle massicce campagne propagandistiche della borghesia, hanno prodotto ogni genere di mistificazione e confusione. L'insoddisfazione sociale e la frustrazione sono ormai profondamente radicate, ma un'alternativa sociale è, per la maggioranza delle persone, a stento immaginabile, figuriamoci realizzabile. Le “Primavere Arabe”, che pure da principio hanno risvegliato grandi speranze, non hanno prodotto cambiamenti positivi. In questa condizione di esistenza socialmente vuota la propaganda fondamentalista, potentemente finanziata, ha trovato terreno fertile in alcuni settori giovanili. Dapprima ha offerto loro la prospettiva capace di restituire un significato, per quanto ignobile e distruttivo, alla loro vita; poi sono stati usati come carne da cannone (contro se stessi e gli altri) per gli interessi economici e strategici di uno dei più reazionari settori della borghesia mondiale. Questo mostra drammaticamente come, data l'assenza di un punto di riferimento politico organizzato nella classe operaia, la rabbia di larga parte del proletariato può essere ghermita dalla borghesia e usata contro il proletariato stesso all'interno di conflitti inter-borghesi
Guerra, miseria e migrazioni

La guerra accresce l'importanza di una delle caratteristiche essenziali parte integrante dell'esistenza proletaria: le migrazioni. La classe operaia è sempre stata una classe di migranti, una classe di persone costrette a lasciare le loro case per vendere la loro forza lavoro laddove il capitalismo ne aveva bisogno. Questa è stata ed è l'unica alternativa alla fame e alla miseria in un sistema sociale nel quale solo la sottomissione alla spietata legge del profitto rende la vita possibile.

A questi migranti tradizionali si sono poi aggiunti i milioni che cercano di fuggire dalle guerre imperialiste. Questi finiscono nelle mani di trafficanti di eseesri umani senza scrupoli. Se ce la fanno a raggiungere i paesi “ricchi”, sono obbligati a lavorare nei settori dove lo sfruttamento è più brutale, i salari più bassi e le condizioni di lavoro più dure. Vengono tenuti ostaggio di una legislazione razzista, che è poi una potente arma nelle mani degli imprenditori, per mantenere ricattabili i lavoratori immigrati ed indebolire la capacità di lotta della classe lavoratrice nel suo complesso. E’ per questo che alcuni capitalisti si mostrano umanitari e danno loro il benvenuto. Altri invece, che naturalmente non si rifiutano di sfruttarli, ne fanno i capri espiatori per la miseria sociale. La loro strategia è quella di attizzare le paure e le isterie incontrollabili nella società in generale, ma anche in quei settori della classe in particolare che, impauriti dalla crisi e in mancanza di una concreta alternativa sociale, sono completamente disorientati. In questo caso il populismo di destra, la propaganda neonazista e neofascista può essere sguinzagliata senza ostacoli contro i “migranti” e i “mussulmani”, rappresentandoli come nemici dei valori e della cultura nazionali, fomentando l’odio verso i migranti e i mussulmani, dichiarati “nemici dei valori e della cultura nazionali”. E’ un inganno che troppo spesso funziona perfettamente, particolarmente in tempi economicamente difficili, come i nostri, di grande malessere sociale e confusione politica. Divide et impera - da sempre questo è uno dei principi organizzativi della società capitalista.
Guerra imperialista o rivoluzione proletaria?

Sappiamo dalle nostre quotidiane esperienze di lavoratori - siano i nostri contratti a tempo “indeterminato”, determinato, precari - o disoccupati, quali controtendenze ha posto in essere la classe dominante, contro di noi, per cercare di porre un freno alla crisi del proprio sistema: riduzione dei costi di produzione (insicurezza, flessibilità, licenziamenti e disoccupazione di massa, concorrenza tra i lavoratori per un posto di lavoro), delocalizzazione della produzione dove la forza lavoro costa meno, tagli delle pensioni e della spesa pubblica, dell’istruzione, della sanità e dei trasporti pubblici per i pendolari. In poche parole, il taglio del salario indiretto e differito (lo stato sociale), dove questo ancora esiste. Questa guerra di classe da parte dei ricchi non ha fino ad ora trovato una risposta adeguata da parte della classe lavoratrice.

La finanziarizzazione dell’economia, che si manifesta in una speculazione finanziaria mai vista, è nella stessa misura sintomo dei grandi problemi dell’economia globale e un tentativo di aggirare gli stessi. Tentano di farci credere che si può creare profitto dal profitto e che il processo della produzione potrebbe essere saltato.

La massiccia accumulazione di una enorme ricchezza nei “paradisi fiscali” da un lato e una brutale intensificazione dello sfruttamento dall’altro, rivelano il carattere corrotto quanto ladresco del capitalismo. L’avanzante destrutturazione sociale e la crescente distruzione delle risorse naturali mostrano chiara una cosa: la continuazione dell’esistenza del capitalismo non solo non è compatibile con la sopravvivenza della classe lavoratrice, bensì con la semplice continuazione dell’esistenza dell’umanità su questo pianeta.

Il nemico principale sta nel proprio paese! Sono i “nostri” padroni e capitalisti, che ci sfruttano e ci opprimono condannandoci a una vita di miseria. Ma anche ogni stato, ogni nazione, ogni forza politica, che si rende partecipe in qualunque maniera della guerra o della sua preparazione, è anch'essa nostra nemica. Per la classe lavoratrice esiste una sola via d’uscita da questa spirale disastrosa di crisi e guerra: l’opposizione a ogni ideologia nazionalista, la solidarietà internazionale e la comune lotta di classe per i propri interessi. L’unica guerra per la quale vale di combattere è la guerra di classe contro i nostri sfruttatori, per una società senza sfruttamento, oppressione e razzismo. Una società nella quale i mezzi di produzione siano socializzati e non si trovino più nelle mani di di capitalisti privati o statali. Una società nella quale la produzione e la distribuzione siano in armonia con l’uomo e la natura, nella quale “il libero sviluppo del singolo è alla base del libero sviluppo della collettività”.
Verso un partito internazionale del proletariato

In quanto sistema globale, il capitalismo può solo essere combattuto e superato internazionalmente. Ciò necessita di una cornice internazionale, la costruzione cioè di una organizzazione politica con una struttura e un radicamento internazionali. Un tale partito comunista, internazionale e internazionalista, non è uno strumento di oppressione e men che meno una macchina per le elezioni. È allora, nella stessa misura, un luogo di riflessione politica e il punto di partenza per l’attacco all’ideologia, ai rituali e alle forme politiche di questa società. Senza un programma comunista ben radicato nella classe, ogni sciopero, ogni rivolta e insurrezione, saranno assorbite dalle forze di questa società, come gli eventi e le esperienze degli ultimi anni hanno abbondantemente dimostrato.

La classe lavoratrice non ha una patria e lo stesso vale per l’organizzazione dei comunisti. Il primo passo verso una vera rottura col capitalismo consiste nel raggruppamento e nell’organizzazione internazionale dei rivoluzionari. Il compito della TCI è di contribuire a questo processo. Non sosteniamo di essere “il Partito”, o il suo unico punto di partenza ma riteniamo di avere un importante contributo da dare sulla linea delle acquisizioni teorico-politiche della Sinistra Comunista che hanno guidato fin qui la nostra analisi e la nostra partecipazione alla lotta di classe. Il nostro obiettivo strategico ora è di costituire un punto di partenza e di rompere l'attuale condizione di isolamento e frammentazione delle forze internazionaliste.

Il dominio del capitalismo pervade tutto il pianeta e penetra ogni aspetto della vita. Ma questo dominio può essere combattuto, a patto di dotarsi, nella lotta quotidiana contro lo stato e il capitale, di quell'arma necessaria per resistere al dominio dell'ideologia borghese: il partito internazionale della rivoluzione socialista.

E’ tempo di organizzarsi!
Tendenza Comunista Internazionalista
Giovedì, April 28, 2016
view post Posted: 4/4/2016, 22:38 Il referendum fermerà le trivelle? - Attività
l 17 aprile si terrà il referendum sulla questione delle concessioni petrolifere. Referendum indetto da alcune regioni - non "semplicemente" da qualche comitato di “cittadini” – e sostenuto da diversi partiti istituzionali.

Dopo il referendum sull'acqua di 5 anni fa, largamente disatteso e non rispettato, ci vogliono nuovamente abbindolare con questo nuovo referendum, di nuovo facendoci credere che attraverso l'urna, elettorale o referendaria, si possa incidere sulla realtà politica ed economica del paese Italia, ma la realtà dimostra esattamente il contrario: l'urna e la sovranità popolare non sono che un enorme inganno attraverso il quale far crede alla "gente" che l'esercizio del potere sta proprio nell'apporre una X sul sì o sul no, su tizio o su caio.

Abbiamo citato il referendum sull’acqua ma di esempi se ne potrebbero fare tanti: dal quello sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, reintrodotto come “rimborso elettorale”, a quello sull'abolizione del Ministero dell’agricoltura, fino ad arrivare… al famoso referendum che si è tenuto lo scorso settembre in Grecia, situazione certamente differente ma che rappresenta un eclatante esempio di inganno!

Diversi promotori presentano questo referendum come un segnale da dare al governo per indirizzare le scelte energetiche in una direzione “ambientalista”, ma la crisi del sistema economico mondiale restringe qualsiasi margine di mediazione, in un contesto del genere uno strumento sotto il controllo delle istituzioni padronali non potrà mai incidere sulle scelte economiche del “paese”, sostenere il contrario significa solo diffondere illusioni.

Ciò è ancora più palese visto che il referendum in questione non mette in discussione la trivellazione, attività estrattiva di idrocarburi, in quanto pericolosa per l'ambiente e per l'umanità, ma solo un comma di una legge. E non potrebbe essere diversamente visto che l'Italia essendo un paese capitalista non si sognerebbe mai di mettere in discussione il profitto.

Ciò che si sceglierà al referendum è se abrogare o meno l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, Che dice in soldoni: "le trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa sono vietate, ma chi le sta già facendo può continuare a farle (della serie: è vietato uccidere, ma se lo stai già facendo, continua pure!!!) fino al termine delle concessioni o all'esaurimento dei giacimenti" di cui la parte da abrogare sarebbe "fino all'esaurimento dei giacimenti".

È evidente quanto la cosa sia ridicola, poiché, anche con il sì (abrogazione del comma) le aziende che stanno trivellando continuerebbero a farlo almeno per altri 5-10 anni, solo al termine dei quali sarebbero costrette a lasciare i giacimenti.

Ma chi ci assicura che ciò avverrà? Nel 2011 si disse no alla privatizzazione dell'acqua, eppure oggi le aziende continuano a produrre profitti con l'erogazione idrica.

La domanda sorge spontanea: cambierà veramente qualcosa votando sì a questo referendum?

Se appare sempre più evidente quanto l'urna non sia altro che una messa in scena, è veramente questo la maniera più giusta di affrontare le contraddizioni che viviamo? A tutti noi piacerebbe avere voce in capitolo circa le scelte energetiche dell'Italia... ma finché il potere economico e di conseguenza quello politico sarà in mano ad una minoranza ciò non sarà possibile.

Tra l'altro questa minoranza, i padroni ed i loro lacchè, cerca di coinvolgerci nelle sue beghe interne. Questo referendum n'è un chiaro esempio. Non è un caso che il referendum, per la prima volta nella storia, sia stato richiesto da alcune regioni. La posta in gioco è il controllo della gestione energetica locale che il governo vorrebbe centralizzare a tutto svantaggio delle regioni. Ecco il perché del referendum al di là di tutta l'ipocrisia specialmente nel nome dei comitati.

Qualcuno si domanderà "ma se votando non cambiamo niente che cosa ci resta da fare?"

Non solo non si cambia niente ma, anzi, si alimenta quello stesso sistema che vorremo cambiare.

Il punto è proprio questo.

VOTARE NON SERVE

NON VOTARE NON BASTA

Noi non vogliamo tenere una posizione disfattista, dicendo che gli sforzi verso il, cambiamento sono vani, tutt’altro. Ma non è attraverso il voto che potremo cambiare lo stato di cose presenti, anzi non faremmo che consolidarlo.

Per un'alternativa vera dobbiamo dare fiato e gambe all'avanguardia rivoluzionaria, portatrice di un programma che non metta in discussione solo alcuni dei mali della società (l'inquinamento per esempio), ma che metta in discussione tutto, quale frutto di un sistema che si basa sull'accumulazione di capitale senz'altro scopo che quello di aumentare i profitti. Una sistema che è disposto ad uccidere devastare e saccheggiare e di cui la democrazia non è altro che il vestito del momento (sempre più vintage vista la crisi e le necessarie strette autoritarie).

La scelta non è “sì” oppure “no”, andare a votare o non andare. La scelta è accettare e quindi difendere il sistema odierno o combatterlo all'interno di una prospettiva di alternativa sociale politica ed economica. La scelta insomma è tra l'accettare o meno il profitto, tra l'essere o meno per la sua abolizione!!!

L'alternativa esiste e si chiama socialismo – qualcosa che non ha nulla a che vedere con i capitalismi di stato di Cuba, Russia o Cina – una società di liberi ed uguali, in armonia con la natura, dove verrà superata la gestione da parte di pochi (privata o "pubblica" che sia) degli strumenti per produrre e distribuire i beni e servizi, e si produrrà solo per il benessere collettivo, non più per il profitto di pochi.

Socialismo o barbarie!

A voi la scelta ..

Noi ti proponiamo di impegnarti per l'unica vera alternativa

ORGANIZZATI CON NOI

LA RIVOLUZIONE È POSSIBILE

IL SOCIALISMO È NECESSARIO

Battaglia Comunista - P C internazionalista
view post Posted: 21/3/2016, 13:53 Quaderni internazionalisti - Pubblicazioni
Quaderni internazionalisti di Prometeo
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www.leftcom.org/it/publications/quaderni-a

Prossimamente verranno inseriti molti altri opuscoli!


Presentazionae

Accanto a “Battaglia Comunista”, il nostro giornale mensile, e a “Prometeo”, la nostra rivista semestrale, si affianca un nuovo strumento di propaganda, diffusione e approfondimento delle analisi critiche e delle posizioni politiche dei comunisti internazionalisti.

I “Quaderni internazionalisti di Prometeo” si propongono di raccogliere e presentare articoli e documentazioni in forma monografica, riguardanti cioé temi di particolare attualità politica e sindacale; ricerche specifiche di storia e testi del movimento proletario rivoluzionario; analisi teoriche dei fenomeni economici e sociali.

Quasi tutto il materiale, già pubblicato in diversi periodi e congiunture, proviene dalle annate di “Battaglia Comunista” e di “Prometeo”: entrambe le testate, dal 1945 la prima e addirittura dal 1924 la seconda, hanno instancabilmente condotto le loro battaglie teoriche e politiche in difesa del marxismo e della continuità della Sinistra Comunista Italiana (fondatrice del PCd’Italia nel 1921 a Livorno), analizzando tutte le vicende e confrontandosi con tutte le problematiche che si sono sviluppate, anche tragicamente, in un secolo di lotte di classe tra capitale e lavoro, dalla rivoluzione d’Ottobre in poi.

La validità e la chiarezza dei contenuti, il vigore e la vivacità degli scritti che i “Quaderni internazionalisti di Prometeo” mettono a disposizione dei compagni e dei simpatizzanti per una più attenta ed organica rilettura, costituiranno - ne siamo più che certi - una sorpresa per molti. Ed uno stimolo in più per iniziare a rompere, con le armi della critica, l’asfissiante cappa ideologica che il conformismo borghese ha imposto alla “opinione”, confusa o addomesticata, delle masse sfruttate ed oppresse in ogni parte del mondo.

L’impegno organizzativo e lo sforzo economico del Partito Comunista Internazionalista per questa iniziativa, come per il miglioramento e l’ampliamento in atto in tutta la sua stampa e propaganda, sono rivolti in questa direzione e si prefiggono questo scopo.

La dinamica stessa degli ultimi accadimenti, e di quelli che seguiranno, ce lo impone in vista della più ampia raccolta e preparazione delle forze di classe e della ricostruzione dell’indispensabile organo politico internazionale per l’emancipazione del proletariato e la vittoria del comunismo.
view post Posted: 14/1/2016, 13:21 primo maggio internazionalista a torino - Movimenti comunisti nel mondo
Periodicamente compaiono sul forum provocatori di Lotta Comunista, seon sempre gli stessi,bannati altre volte per i loro insulti e le loro provocazioni...
view post Posted: 11/1/2016, 11:41 BORGHESIA BUONA... da friggere - Off-Topic
La macchia della propaganda borghese in azione... Dopo Papa Francesco ci mancava solo l'imprenditore generoso...

Tutto quanto è stato "regalato" è stato prodotto dal sudore dei lavoratori, 4 spiccioli non cancellano anni ed anni di sfruttamento.
view post Posted: 24/12/2015, 12:49 presentazione - Presentazioni
Ciao, grazie per la risposta :D

Da Prgramma a Combat? Sono due orgaizzazioni molto differenti, così come differente è il loro approccio rispetto alla questione Partito, sulla qale hai portato l'attenzione, quindi credo che sia per te di primaria importanza. Ovviamnete sul perchè sei passato dall'una all'altra organizzazione non può e deve essere spiegato su un forum... mentre mi incuriosice un aspetto: per passare da Programma a Combact significa che la la tua visione sulla questione partito è cambiata, e di molto, giusto? Anche se da qullo che leggo ti vedo più vicino alla "versione di Prgramma". Un ritorno alle origini?
view post Posted: 20/12/2015, 12:03 Presentazione nazionale a Roma - Attività
Ciao,

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view post Posted: 19/12/2015, 13:32 Bilancio e prospettive - Questione Partito
Per inaugurare questa nuova sezione vi sottopongo queste riflesioni che cercano di fare brevemente un bilancio circa l'esperienza dell'I.C....

La Terza Internazionale - nel piano di Lenin - doveva servire essa stessa alla maturazione e alla omogeneizzazione politica sul terreno rivoluzionario delle diverse organizzazioni politiche nazionali.

La forza trainante di questa maturazione, il centro di catalizzazione della fusione delle forze rivoluzionarie, era il Partito bolscevico alla guida dell'unico processo materialmente rivoluzionario in atto.

L'isolamento perdurante dell'esperienza sovietica e l'urgenza conseguente di resistere ponevano davanti a questo partito problemi immani sotto i quali era facile soccombere, specie nella sua condizione di quasi esclusivo punto di riferimento teorico e politico a scala internazionale.

L'Internazionale non era in grado come tale di contribuire alla direzione politica delle cose russe.

Il Partito - e lo Stato - russi dirigevano di fatto anche l'Internazionale. L'accartocciarsi della Rivoluzione russa sull'unica realizzazione avvenuta (la proprietà di stato dei mezzi di produzione) e il conformarsi di Stato e partito ad essa - quindi su terreno controrivoluzionario - doveva esprimersi anche nella conformazione dell'Internazionale come strumento di politica estera dello Stato Russo.

Se nulla poté l'Opposizione Russa, ancor meno potevano le minoranze rivoluzionarie internazionali e in particolare la sinistra comunista d'Italia - e non tanto per il diverso spessore politico, che porterà comunque la sinistra italiana a rappresentare il punto di riferimento per la ricostruzione, quanto per il diverso peso che potevano esercitare tanto in Russia quanto nella Internazionale stessa.

Veniamo dunque agli insegnamenti.

Non possiamo sicuramente rischiare di ripetere, anche se in nuove forme, l'esperienza di un primo successo rivoluzionario in un paese, che faccia da stimolo alla nascita stessa delle organizzazioni politiche proletarie negli altri paesi e da loro centro di aggregazione in una nuova Internazionale. Non ne avremmo il tempo: o la rivoluzione si espande rapidamente o si va incontro a un'altra sconfitta certa.
La nuova Internazionale non dovrà neppur lontanamente essere una Federazione di partiti, più o meno indipendenti e con "politiche" differenziate sulla basi di una pretesa differenza di situazioni nazionali. Perciò è più corretto parlare di Partito Internazionale. Natura, struttura e statuti di tale Partito internazionale del proletariato devono caratterizzare omogeneamente ogni e ciascuna sua sezione nazionale. La sua piattaforma politica e programmatica deve essere il patrimonio comune, omogeneamente maturato da tutte le sezioni e da tutti i militanti.
Coerentemente alla nostra concezione del rapporto partito/classe/semi-stato proletario, la centralizzazione politica del partito internazionale - pur non costituendo una garanzia assoluta che per definizione non esiste mai nelle cose sociali e politiche - è il più sicuro contributo alla indipendenza della prospettiva storica del proletariato dalle specifiche vicende nazionali del primo o dei primi stati proletari che si affermeranno. La centralizzazione secondo le linee statutarie ancora ribattute dall'ultimo nostro Congresso (19), è centralizzazione di quadri politici dediti alla causa del superamento rivoluzionario definitivo del capitalismo. Perciostesso, fin tanto che tali sono, sapranno esercitare il ruolo che compete loro di direzione politica del semi-stato "nazionale" in funzione della rivoluzione internazionale e comunque - anche in caso di sconfitta di quella prima esperienza - sapranno salvaguardare il programma e la prospettiva della riscossa, senza le tragiche rotture di continuità che si verificarono in Russia e con la III Internazionale.
Il farsi della nuova Internazionale, cioè del partito come oggi va inteso, coincide con “lo sviluppo di forze politiche reali che emergono, si coordinano e maturano all'interno della lotta teorica e politica nei rispettivi paesi”.

In questo senso si è costituito il Bureau Internazionale per il Partito Rivoluzionario come prima forma di coordinamento e di centralizzazione fra organizzazioni maturate nelle battaglie politiche condotte a scala nazionale - all'interno delle rispettive sezioni di classe operaia - e a scala internazionale, su un corpo di tesi omogeneo e solido che pongono a base della costruzione del Partito Internazionale.

Riflessioni tratte da:
http://www.leftcom.org/it/articles/2000-06...-internazionale

il BIPR succesivamente ha assunto la denominzione TCI...
view post Posted: 19/12/2015, 12:56 presentazione - Presentazioni
Ciao Comp, benvenuto, in quale organizzazione hai militato?
view post Posted: 14/7/2015, 21:30 Sul referendum in Grecia - Internazionale
Grecia - Note a seguito del referendum

Per tutti quelli che hanno ritenuto che fosse tatticamente corretto dare l'indicazione di votare NO al referendum greco.

La trappola del referendum è scattata due volte.

La prima, quando il nazional-riformista Tsipras si è trovato nell'inevitabile impossibilità di dare operativamente seguito alle sue promesse elettorali. Di fronte alla feroce chiusura della Troika (prima si pagano i debiti, si fanno le necessarie riforme, ovvero aumento dell'Iva, riforma fiscale e decurtazione delle pensioni continuando la devastante politica dei sacrifici, poi si possono chiedere nuovi finanziamenti), Tsipras ha prima tentato un negoziato al ribasso, poi, sconfessato dal suo stesso partito, non ha saputo fare altro che buttare la patata bollente nelle mani dell'elettorato greco sotto forma di un retorico referendum: "SI o NO alla politica dei sacrifici" voluta dalla Troika. Ingannando il proletariato greco, e non solo, che attraverso la vittoria del No si potessero avere armi politiche migliori per contrastare la politica dei sacrifici e salvaguardare meglio le condizioni di pensionati e lavoratori sull'orlo del collasso.

La seconda volta, quando la vittoria del NO ha lasciato, ovviamente, le cose come stavano prima, ma funzionando come valvola di sfogo per quelle frange più arrabbiate che, al massimo, si sono espresse con un non voto (3.693,889 superiore, anche se di poco, a quelli che hanno votato NO) senza nemmeno spaventare i giochini politici dell'attuale potere in crisi di liquidità, oltre che di identità politica. Infatti il No non poteva essere una risposta negativa alla politica dei sacrifici, ma soltanto l'ipotesi di riapertura di una discussione interrotta su come e in che tempi subire gli ennesimi sacrifici. In pratica, come nel gioco dell'oca, si è ritornati al punto di partenza con inalterati i termini della questione sul debito, sulle riforme da fare e sugli eventuali futuri prestiti che, detto per inciso, al massimo servono per pagare gli interessi sui debiti contratti e non certo a migliorare la condizioni di vita dei salariati e dei pensionati. Quattro giorni dopo la chiusura delle urne, Tsipras ha dovuto riprendersi nelle sue mani la patata bollente per proporre alla Troika più di quanto la Troika stessa pretendeva in termini di riforme e di sacrifici. Il programma prevede una "finanziaria" da 12 miliardi di euro prelevati dall'allungamento dell'età pensionabile, dalla sospensione degli sgravi Iva per le isole e da un aumento generalizzato delle tasse. Il che significa che l'aumento dell'età pensionabile aumenterà la disoccupazione, soprattutto quella giovanile. L'aumento delle tasse influirà ancora una volta sulla qualità di vita di tutti i greci a stipendio fisso, ovviamente per chi ce l'ha. L'annullamento della facilitazione Iva per le isole, nei fatti un aumento dell'Iva per il commercio e gli operatori turistici, inciderà sull'aumento dei prezzi al consumo sia per i turisti che per i locali. L'unico contentino è che Tsipras ha promesso di tartassare un po' di più i super ricchi e di incominciare a far pagare le tasse (ma con moderazione) agli armatori. Il tutto per ricevere dagli "aguzzini" della Troika quei finanziamenti per non fallire subito e coltivare la debole opportunità di rinegoziare un debito che, peraltro tutti sanno, non è restituibile né subito né forse mai, ma funzionale ai grandi creditori sul terreno del ricatto economico, per quanto riguarda le future commesse e il possibile acquisto "dell'argenteria di famiglia", qualora le imposte privatizzazioni dovessero aprire nuove opportunità agli sciacalli della finanza internazionale. Queste le immediate conseguenze della vittoriosa campagna a favore del NO al referendum.

Poi ci sono altre considerazioni da fare. Il referendum ha finito per essere, da un lato, una prova di fiducia nei confronti del governo, dall'altro un esercizio politico di nazionalismo destrorso e conservatore, che è riuscito a riempire la piazze sotto le bandiere bianco-azzurre greche in un rigurgito patriottico contro l'arroganza tedesca. Non una parola contro la borghesia nazionale, quella degli armatori che non paga le tasse: Tsipras si era limitato a proporre prima del referendum un'imposta "una tantum" sui super-ricchi, peraltro bocciata dalla Troika stessa perché pericolosa per il grande capitale, quella dei finanzieri, che, all'epoca dell'ingresso della Grecia nell'euro, hanno falsificato i conti in collaborazione con una delle centrali del parassitismo finanziario internazionale, contribuendo a rendere ancora più grave la situazione economica interna dopo lo scoppio della crisi dei subprime. La prova referendaria è però riuscita a distorcere l'attenzione delle masse greche dalle responsabilità borghesi interne per concentrarle su quelle estere.

Era chiaro sin dall'inizio che con il referendum non si sarebbe andati da nessuna parte, che le cose sarebbero rimaste esattamente come prima, ma il mimare un inoperante NO alla politica dei sacrifici, almeno nel breve periodo, avrebbe tenuto le piazze sotto controllo, all'interno del solito involucro nazionalistico, borghese e capitalistico, senza nessuna speranza per una futura alternativa al sistema; e così è stato.

Una posizione rivoluzionaria che avesse voluto essere di piccolo riferimento alternativo alla vulgata nazional borghese del falso referendum, avrebbe dovuto, come prima cosa, dire da dove veniva la necessità referendaria, quali i veri obiettivi che voleva raggiungere e quali le conseguenze. Da lì bisognava partire, non perché il referendum in sé avesse qualche interesse intrinseco, o perché avesse l'opportunità di cambiare, anche se di poco, i termini della questione dei sacrifici e del pagamento del debito, ma perché il partito al potere, operante sul terreno nazionalista e borghese, non ottenebrasse ancora di più le coscienze politiche dei proletari con ulteriori false promesse o ridimensionate illusioni, con l'indicazione di strani percorsi economici e finanziari che non possono portare da nessuna parte, se non sul solito terreno della conservazione borghese, con l'aggravante di presentarsi in chiave sinistrorsa.

Definire la natura, lo scopo e la trappola che rappresentava il referendum era il necessario primo passo da cui partire per arrivare a introdurre il secondo e basilare concetto, quello relativo alla necessità della ripresa della lotta di classe. In questo caso, nella specificità della situazione greca, la seconda delle indicazioni, quella relativa alla necessità della ripresa della lotta di classe, se non voleva cadere dal cielo come un "ufo" politico, doveva partire dalla denuncia di che cosa rappresentasse la prima. Il SI alla ripresa della lotta di classe doveva essere la logica conseguenza della negazione degli obiettivi del referendum. Detto in termini ancora più sintetici, il SI alla lotta di classe si intrecciava al NO al referendum. Bisognava ribaltare completamente il giochino borghese del SI e del NO ad una politica dei sacrifici che tutti sapevano, Tsipras per primo, che sarebbe arrivata comunque. Prima bisognava togliere il velo, smascherare il trucco e poi dare una prima indicazione. Fare invece appello alla necessità della ripresa della lotta di classe senza partire dall'inganno del referendum, senza denunciarne gli obiettivi di conservazione e di imbrigliamento politico della classe operaia è, quantomeno, un errore tattico.

Se poi si arriva ad invocare la necessità della ripresa della lotta di classe, passando dall'accettare "tatticamente" il NO, siamo in aperta contraddizione. E' un modo perlomeno confuso di porsi alle masse, perché le due indicazioni sono difficilmente conciliabili se non nella forma ibrida e comunque contraddittoria: "se accettate il referendum e andate a votare, allora votate NO perché l'unica soluzione è la lotta di classe". Ma la lotta di classe non solo non passa dai referendum, che ne sono la sua negazione, ma ne deve prendere le distanza per iniziare a partire. Meglio essere chiari, diretti nelle formulazioni politiche: si evitano malintesi e si danno delle indicazioni comprensibili e non ambigue. A meno che la formulazione "ibrida" non contenga un altro messaggio, quello che dice: "bisogna saper essere duttili, tatticamente intelligenti, e non rimanere attaccati a formule, corrette sì, ma di difficile divulgazione”. Giusto, ma l'intelligenza tattica è quella di saper trovare le formule espositive delle posizioni politiche corrette, non quella di modificarle o, peggio ancora, di dirle solo in parte o in maniera scorretta e contraddittoria, perché ciò non servirebbe ad aumentare la chiarezza, ad essere più propositivi sul terreno propagandistico, ma sarebbe soltanto un pericoloso esercizio di allineamento verso il basso, che potrebbe portare nell'anticamera dell'opportunismo. Il non rimanere isolati (se questa fosse la maggiore delle preoccupazioni, che, già di per sé, non dovrebbe far parte del bagaglio di una organizzazione rivoluzionaria) non passa dall'annacquare le posizioni politiche, ma nel proporle "secche e asciutte" come sono, altrimenti si corre il rischio di accodarsi alle masse, alle sue arretratezze politiche per poi rimanerci dentro, prima soltanto con un piede, poi con una gamba e, alla fine, con tutto il corpo. L'intelligenza tattica è un'altra cosa, è rendere comprensibile una linea politica con i dovuti strumenti di comunicazione, le giuste analisi e i conseguenti slogan, ma all'interno di una corretta linea politica che non può cambiare di volta in volta con posizioni contraddittorie, confuse e ai limiti dell'opportunismo.

FD (Battaglia Comunista)
Domenica, July 12, 2015
view post Posted: 6/7/2015, 17:24 Sul referendum in Grecia - Internazionale
Incollo la traduzione di una prima presa di posizione della TCI (Battaglia Comunista in Italia), magari riportate in questo post eventuali documenti e commenti... sulla situazione in Grecia

Tsipras è in un angolo. La Troika gli ha detto che se il debito Greco venisse pagato, avrebbe potuto ricevere ulterior fondi, ma solo se avesse aumentato la VAT (l’imposta sui consumi) e tagliato le pensioni. La Troika non può permettersi di mollare, specialmente verso un governo che si proclama di “sinistra”, perché in questo caso creerebbe un pericoloso precedente per Italia, Portogallo e in particolare per la Spagna, con l’ascesa del partito riformista Podemos. Tsipras ha provato a negoziare una dilazione e una riduzione del debito greco, ma senza frutto. Così, non sapendo cosa fare, si è inventato un referendum per far sì che la classe lavoratrice greca approvasse il suo fallimento.

Se dal referendum uscirà una maggioranza di “Sì” ai diktat economici e finanziari della UE, BCE e la FMI (la cosiddetta Troika) la lista dei sacrifici è già stata stilata. Il governo Syriza è un governo capitalista che tenta di difendere il capitale nazionale. Ha già approvato una serie di misure di austerità, anche se dovessero vincere il referendum. Se il riformismo di Tsipras fallirà, significa che probabilmente dovrà rassegnare le sue dimissioni, con la possibilità che i fascisti di Alba Dorata, tra le altre organizzazioni autoritarie di estrema destra (e un colpo di stato non è da escludere), alzeranno la testa per offrire una “soluzione” definitiva. Comunque per i lavoratori non c’è scelta. Tsipras li ha ingabbiati nei suoi guai.

Un “Sì” significherebbe sicuramente una miseria certa, ma un voto “No” non porrà fine all’austerità come Tsipras falsamente dichiara. Invece trascinerebbe la Grescia in un abisso di austerità in un’altra forma. Alcune fazioni all’interno di Syriza discutono che avere la propria moneta nazionale è la soluzione, ma questa è solo una fantasia reazionaria... La possibile uscita dall’Euro risulterebbe in una svalutazione della dracma sull’euro del 50-60%. Anche se questo non accadesse il debito rimarrebbe ed è in dollari, così i lavoratori presto scopriranno quanto dovrà pagare uno stato in default. Nessun paese europeo presterà più denaro alla Grecia e nessuno comprerà obbligazioni da Atene. In breve, sarà un disastro. In aggiunta, una dracma svalutata potrebbe teoricamente aiutare per le esportazioni, tuttavia, la Grecia non ne ha molte e sarebbe una tragedia per il costo di importazione del gas, del petrolio e materie prime in generale, senza parlare della tecnologia. Inoltre, e per noi sarebbe la cosa peggiore, con la moneta nazionale svalutate, si abbasserebbero tutti gli stipendi e le pensioni: il loro potere d’acquisto crollerebbe drasticamente. Altra miseria si aggiungerà a quella che hanno già subito.

Questo significherà una riprogrammazione del debito e una meno drastica politica di sacrifici, ma nulla di più. Anche un voto non risolutivo non aprirebbe altre opportunità per questo: una simile via di mezzo sarebbe comunque una soluzione capitalistica.

Una terza via, una “soluzione” completamente capitalista, ma proiettata nel panorama imperialistico internazionale, sarebbe di vendersi al miglior offerente: la Cina (in merito al controllo del porto del Pireo), o la Russia in merito ai gasdotti turchi, che rimpiazzerebbero il vecchio progetto dei South Stream. Un paio di giorni fa i governi russi e greci hanno firmato un accordo per tale effetto. Forse questo fatto ha permesso a Tsipras di piantare i piedi contro la Troika?

Va da sé che l’uscita della Grecia dall’Eurozona avrebbe ripercussioni negative per la valuta europea e per lo stesso futuro dell’Unione. Allo stato attuale nessuno vuole questo.

La nostra conclusione iniziale e che dobbiamo condannare le promesse di riforma di Syriza come sottolineare le sue menzogne e le illusioni destinate a crollare al primo contatto con la realtà. Abbiamo sempre asserito che i programmi riformisti di Syriza sono un’illusione destinata al fallimento. Allo stesso tempo sono anche costretti a presentare un’alternativa politica a questa debacle del capitalismo. Dobbiamo opporci a queste manovre, la loro politica da fame, la loro barbarie e la loro guerra per procura.

In termini concreti, non possiamo cadere nella trappola referendaria, perché propone due alternative che non sono in effetti alternative. È una farsa designata per far sì che la classe operaia si identifichi con il riformismo fallimentare di Syriza. Ma il problema qui non è la Grecia e nemmeno l’Europa, ma è il fallimento del sistema capitalistico globale. L’unica vera risposta ad una crisi irrisolvibile è l’attiva resistenza della classe lavoratrice. E non significa solo in Grecia, ma su scala internazionale. L’austerità è ovunque e non se ne andrà. In poche parole questo significa opporsi ad ogni trabocchetto e ad ogni politica della classe dominante (incluso un referendum inutile), ma nel lungo periodo consiste nella creazione, da queste lotte, di un partito proletario internazionale che indirizzerà le lotte di tutto il mondo contro il sistema che, come la crisi greca ha dimostrato, offre solo più miseria per l’intera classe lavoratrice

Tendenza Comunista Internazionalista
Lunedì, July 6, 2015
view post Posted: 20/5/2015, 07:37 Presentazione nazionale a Roma - Attività
Domenica 24 maggio alle 10:00

A Roma in Via Efeso, 2 (c/o Circolo Mario Mieli, Metro B, Basilica San Paolo)

Si terrà la Presentazione nazionale del libro:

Settantanni contro venti e maree

Storia documentaria del Partito Comunista Internazionalista dalle origini ai giorni nostri.

http://www.leftcom.org/it/articles/2015-05...o-venti-e-maree
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